di Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia e socio di Libertà e Giustizia, circolo di Perugia.
✑✑✑
Il disegno di legge costituzionale predisposto dalla ministra Casellati e approvato dal Consiglio dei ministri il 3 novembre contiene una serie di anomalie che lo rendono un mostriciattolo assolutamente inedito nel mondo democratico. Vediamole nell’ordine.
1) Viene stabilita l’elezione popolare del Presidente del Consiglio – Primo ministro, che non è prevista in nessun Stato democratico. Non viene specificata la maggioranza necessaria, che verrebbe quindi disciplinata con legge ordinaria, per cui una maggioranza semplice delle Camere potrebbe stabilire anche l’elezione a maggioranza relativa o comunque inferiore a quella assoluta, che, dato il prevedibile astensionismo, determinerebbe l’elezione da parte di una minoranza esigua del corpo elettorale. Non viene stabilito alcun limite alla rieleggibilità, in contrasto con quanto avviene nelle democrazie che prevedono l’elezione popolare del Presidente della Repubblica. A tal proposito va rilevato che nei quattordici Stati della UE a elezione diretta sono richieste la maggioranza assoluta e, qualora manchi, il ballottaggio tra i due candidati più votati ed è posto il limite del doppio mandato consecutivo o assoluto.
2) L’elezione del Presidente del Consiglio avviene congiuntamente a quella dei parlamentari con un’unica scheda elettorale e con un sistema elettorale a maggioranza assicurata del 55% dei seggi nelle due Camere. Non vi è l’indicazione di una soglia minima di voti per l’attribuzione del premio, com’è stato stabilito dalla giurisprudenza costituzionale, con conseguente violazione dei principi della rappresentatività e dell’eguaglianza del voto. Il collegamento mediante voto unico non esiste negli Stati democratici a elezione diretta del capo dell’esecutivo che prevedono talvolta l’elezione contemporanea (ma non in Francia) ma separata e quindi l’eventualità che la maggioranza parlamentare non corrisponda a quella che ha eletto il Presidente. L’elezione congiunta viola il principio costituzionale della indipendenza del Parlamento, organo costituzionale titolare di prerogative fondamentali, la cui composizione sarebbe determinata dal voto dato al Presidente del Consiglio e che quindi si troverebbe fin dal momento genetico in uno stato di subordinazione nei confronti del capo del Governo. Inoltre a essere violata è anche la libertà del voto dell’elettore, che non può esprimere un voto differenziato al candidato-Presidente del Consiglio e a una diversa lista o coalizione.
3) La costituzionalizzazione del premio di maggioranza costituisce una novità assoluta nella storia costituzionale italiana ed è inesistente negli ordinamenti democratici (come la Grecia) che lo prevedono nella legge elettorale. Viene quindi abbandonata la prudente saggezza manifestata dall’Assemblea costituente, per cui in futuro il cambiamento della formula elettorale richiederà una legge costituzionale. Nel merito si prescinde completamente dagli effetti negativi che il premio di maggioranza ha avuto nel contesto italiano: formazione di coalizioni ampie ed eterogenee buone per vincere ma non per governare e verificarsi di divisioni interne quando accedono al Governo (come dimostrano le esperienze del governo Prodi bis e Berlusconi quater).
4) Si determina uno squilibrio tra i poteri a danno del Presidente della Repubblica e del Parlamento. Sono nettamente ridimensionati i poteri di intermediazione politica del Capo dello Stato. Questi si limita a conferire l’incarico al Presidente del Consiglio eletto o al suo eventuale sostituto, ma senza procedere in modo incongruo alla sua nomina dopo l’accettazione, anche immediata, dell’incarico. Si tratta quindi di un atto dovuto. Lo stesso può dirsi per la nomina dei ministri di fronte alla proposta proveniente dal capo del Governo che in quanto eletto dal popolo ha una legittimazione ben più forte di quella del Presidente della Repubblica. Paradossalmente non è prevista la revoca dei ministri, sostenuta da tempo nella comunità scientifica, il che fa pensare a una divergenza interna alla maggioranza circa la sua attribuzione al Capo dello Stato o al Presidente del Consiglio. Anche lo scioglimento delle Camere diventa un atto dovuto quando il Governo non ottenga la fiducia delle Camere e in tutti i casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante (anche per morte e impedimento permanente).
Il Parlamento è indebolito fin dal momento della sua elezione non solo congiunta, ma dipendente da quella del Presidente del Consiglio. Può respingere la mozione di fiducia ma se lo fa per due volte di seguito viene sciolto automaticamente. Se approva una mozione di sfiducia, può trovarsi a dover votare la fiducia sotto la spada di Damocle dello scioglimento al Presidente del Consiglio confermato nella carica, il che costituisce uno schiaffo nei confronti della maggioranza parlamentare, o a un suo sostituto proveniente dalla maggiorana originaria. Infine viene sciolto automaticamente in tutti i casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante.Non è un caso che nel d.d.l. non vi sia alcuna disposizione volta a ostacolare il degrado del Parlamento e a rafforzarne i poteri.
5) Appare bislacca la previsione di un secondo voto di fiducia qualora il primo sia negativo. Sembra che il Governo non creda troppo nella solidità della futura coalizione di maggioranza tanto da paventare un voto negativo iniziale sulla fiducia al Presidente del Consiglio eletto dal popolo. Ma l’ipotesi del doppio voto di fiducia può avere l’effetto di incentivare le divisioni interne alla maggioranza, consentendo ai parlamentari non soddisfatti della composizione del Governo di inviare un segnale negativo con il primo voto, sapendo di poter avere un secondo voto a disposizione per poter approvare la fiducia e evitare lo scioglimento delle Camere.
6) La cosiddetta “norma antiribaltone” costituisce un obbrobrio giuridico. Intanto la genericità del presupposto della “cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio eletto” non chiarisce cosa si verifichi nei casi di morte o impedimento permanente, nei quali ovviamente non è possibile il conferimento dell’incarico al “Presidente del Consiglio dimissionario”, e quindi non è chiaro se il Capo dello Stato sia tenuto a conferirlo a un parlamentare della maggioranza oppure possa optare per lo scioglimento del Parlamento. In secondo luogo la sostituzione del Presidente del Consiglio eletto sembra escludere l’ipotesi che ai fini dell’ottenimento della fiducia valgano solo i voti dei parlamentari che l’avevano votata originariamente, il che sarebbe incostituzionale per violazione dei principi dell’eguaglianza del voto dei parlamentari e del divieto di mandato imperativo (così Leopoldo Elia sulla norma antiribaltone contenuta nella riforma costituzionale del 2005). Ma se così è, si ammette la possibilità che la maggioranza possa cambiare parzialmente, con perdite e aggiunte di parlamentari, anche in considerazione del riferimento all’indirizzo politico e agli impegni programmatici originari che normalmente subiscono aggiustamenti e variazioni nel corso della legislatura. Infine la sostituzione parlamentare del Presidente del Consiglio eletto dal popolo apre la porta alla possibilità che una componente della coalizione di maggioranza possa farlo cadere per renderne possibile la sostituzione.
7) Qualche perplessità suscita l’abrogazione della nomina dei senatori a vita, che elimina tra l’altro un potere del Presidente della Repubblica. Inconsistente risulta l’argomentazione secondo la quale tale istituto potrebbe pregiudicare al Senato la maggioranza scaturita dal voto per due ragioni: l’ampiezza del premio di maggioranza e la modifica dell’art. 59, c. 2. Cost., stabilita dalla legge costituzionale 1/2020, che ha fissato a cinque il numero massimo di senatori a vita. Non dovrebbe esser trascurata la ratio che ha spinto l’Assemblea costituente volta a valorizzare l’apporto di conoscenze e di prestigio di personalità “che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.
In definitiva l’unica proposta condivisibile del d.d.l. è l’abrogazione della possibilità di sciogliere una sola Camera. Un po’ poco a fronte di uno sconvolgimento della forma di governo, che non sarebbe in grado di assicurare la formazione di governi stabili ed efficienti e l’aumento della partecipazione, che verrebbe mortificata dalla limitazione della libertà del voto e dalla lesione con marchingegni artificiali della rappresentatività del Parlamento.