La parola come arma di potere nel Nuovo mondo al contrario

21 Febbraio 2025

Lorella Beretta Giornalista

Inondare di parole, togliere le parole, risignificare le parole. È la strategia con la quale le destre prendono in ostaggio il potere.

Il 20 febbraio, alla convention 2025 dei Conservatori americani (CPAC, Conservative Political Action Conference) Steve Bannon, ideologo della destra, avverte che l’unico modo con il quale “loro” – ovvero la sinistra, ed estensivamente la democrazia rappresentativa – potranno vincere è se «noi ci ritireremo, ma noi non ci ritireremo, non ci arrenderemo, non lasceremo! Lotta! Lotta! Lotta! Amen». Su queste ultime quattro parole stende il braccio destro in un inequivocabile saluto romano: un mese fa lo stesso gesto era stato fatto da Elon Musk, sollevando un polverone di polemiche e risposte che tendevano a sminuire il riferimento al saluto nazifascista. 

Su ZetaLuiss, la rivista del Master in giornalismo e comunicazione della Luiss, un interessante articolo dimostra la forza di propagazione scatenata dalla rappresentazione sui palchi mondiali di parole e atti finora circoscritti in frange estreme ed estremiste e condannati senza riserve. 

Più che da intervistare come fosse un guru, cosa che abbiamo visto fare anche da quotidiani italiani che si ascrivono all’area progressista, Bannon sarebbe da studiare e monitorare e soprattutto ascoltare, perché se c’è una caratteristica di questa destra mondiale è quella di giocare a carte scoperte. Proprio Bannon ci aveva avvisati per tempo un decennio fa: «Tutto quello che dobbiamo fare è inondare ogni spazio, ogni giorno li colpiamo con tre cose, loro ne agguanteranno una e il nostro lavoro sarà fatto, bang bang bang, non ce la faranno mai a riprendersi ma noi dobbiamo cominciare a colpire alla velocità dei proiettili…». Avremmo dovuto prenderlo un po’ più sul serio. 

Il metodo è lo stesso, occupare ogni spazio seguendo la propria agenda, senza sosta, senza ripensamenti, senza limiti, anzi spostando i limiti esistenti così come si spostano confini, come si vendono e comprano terre altrui, come si ribattezzano i nomi di persone e cose, per denigrare le prime e per colonizzare le seconde: il punto, i punti, di entrata nel discorso pubblico e nella coscienza collettiva sono stati e sono gli spazi vuoti che, si sa, in politica vanno riempiti. L’arma principale è la parola: con la parola si scolpiscono le mappe del nuovo mondo al contrario; con le parole si cambiano le storie e i destini dei popoli. Fatti alternativi: nel 2017, quando era il 45° Presidente degli Stati Uniti, l’avviso ce lo aveva dato proprio lui: Trump aveva spiegato che le sue non erano bugie ma fatti alternativi, “alternative facts”, non opinioni ma fatti, non veri e nemmeno falsi, semplicemente alternativi, facendo così saltare ogni criterio oggettivo, ogni fonte ufficiale, ogni regola grammaticale e civica e così riscrivere la storia, la geografia, le regole di convivenza civica e sociale, la realtà, le parole stesse e il loro significato. Le parole hanno inondato i social, i vecchi e i nuovi media, il dibattito tra le persone e si sono fatte realtà: (anche) attraverso l’occupazione dello spazio verbale si realizzano i migliori sogni, o i peggiori incubi. «Perché Trump conosce il potere del marketing: se fai credere alle persone che una cosa è vera, la fai sembrare più vera», ha detto il giornalista e conduttore Ezra Klein. 

Allora quale migliore modo di forgiare le menti delle future generazioni se non il controllo dei libri a cui hanno libero accesso, come quelli presenti nelle biblioteche pubbliche e in quelle scolastiche? La guerra fredda e silenziosa si è intensificata negli ultimi anni, tra le proteste inascoltate e isolate dei bibliotecari, e colpisce in particolare i libri che trattano di genere e identità, legata alle tematiche Lgbtq+, e di questioni razziali e quindi con sguardi e voci BIPOC, acronimo che sta per Black, Indigenous and People of Color, quindi non solo afroamericani ma neri, indigeni e persone di colore. Un punto di vista che si è rafforzato dopo l’uccisione, nel maggio 2020, da parte della polizia del nero George Floyd e la nascita del movimento di protesta Black Lives Matter. Alla Casa Bianca c’è Donald Trump che a novembre di quello stesso anno perderà le elezioni senza accettare la vittoria di Joe Biden. Un periodo di ulteriore profonda e violenta polarizzazione. 

Nelle scuole, nelle contee, negli Stati si muovono le autorità locali ma anche i singoli cittadini contro i libri accusati di «indottrinare» i piccoli lettori con contenuti «inappropriati»: è proprio tra il 2021 e il 2023 che aumenta il numero di libri tolti dagli scaffali scolastici, spesso su protesta dei genitori. Sono gli anni in cui la destra denuncia la “cancel culture”, cioè l’estromissione del politicamente scorretto dal dibattito pubblico, e intanto condanna e denigra il “politicamente corretto”, bannandolo dalle letture dei propri figli e di quelli degli altri. Sono gli anni in cui diventa un caso la revisione lessicale di Huckleberry Finn, il classico di Mark Twain nel quale si sostituisce la parola «nigger», ma non si sa nulla del governatore repubblicano del Texas che fa posizionare nella sezione fiction un testo storico sulla colonizzazione del New England raccontata dal punto di vista dei Nativi: e men che meno si è saputo, in Italia almeno, della condanna inflitta allo Stato per questa declassificazione. Secondo i dati forniti da PEN America, associazione non profit americana con più di cento anni di vita, il Texas è il terzo Paese per numero di libri vietati, preceduto dall’Iowa e dalla Florida, anche questi governati da Repubblicani. In Florida, guidata dal famoso governatore Ron De Santis che a novembre dell’anno scorso fece un tour per la penisola italiana, solo nell’anno scolastico 2023-2024 i libri fatti sparire sono stati 5.000 sui 10.000 colpiti in tutta la Nazione. In Iowa è in discussione una legge, presentata dai Repubblicani, che definisce le “oscenità”, in un elenco in cui si esplicitano «atti sessuali» compreso il contatto fisico minimo, che fanno scattare la rimozione dei testi dalle biblioteche pubbliche. Un sondaggio promosso dal «Des Moines Register», importante testata locale, ha scoperto che lo scorso anno sarebbero stati bannati 3.400 libri dalle scuole dell’Iowa, tra cui The Handmaid’s Tale da cui è tratta una serie tv di successo, Il colore viola e 1984 di George Orwell, quello di «La pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza». Come non capirlo. 

Intanto nelle scuole del Pentagono – 70 mila studenti circa – è scattata la soppressione di testi «non conformi», altra terminologia entrata in uso da un mese a questa parte in tutti i dipartimenti ed agenzie federali, con l’ordine esecutivo dal titolo «Difendere le donne dall’estremismo dell’ideologia gender e ripristinare la verità biologica nel governo federale», con cui Trump nega l’esistenza dell’identità di genere e stabilisce come unica la verità biologica del sesso. Sono finiti sotto censura anche una serie di materiali didattici creati per gli studenti dell’ultima classe delle elementari in occasione del Mese della storia dei neri (che cade in febbraio) e una biografia di Albert Cashier, un uomo transgender che prestò servizio nell’esercito dell’Unione durante la guerra civile. Oltre al libro per bambini di Julianne Moore che racconta della storia autobiografica di una bambina con le lentiggini che riesce ad accettare le proprie efelidi e ad accettarsi: nessun tema scottante, ma sempre di inclusione parla e quindi è finito sotto la scure trumpiana che taglia i programmi di diversità, equità e inclusione (DEI), considerando l’inclusione e il rispetto delle diversità, escludenti e discriminanti. Il mondo al contrario. 

Lorella Beretta è giornalista freelance. È responsabile della comunicazione di Libertà e Giustizia.

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