Nessuno di noi è più al sicuro, ecco perché non possiamo ignorare le bullshits di Trump

Articolo pubblicato su Domani
Sergio Labate, 9 Feb 2025

Titolo originale Nessuno di noi è più al sicuro, ecco perché non possiamo ignorare le bullshits di Trump

Questo contenuto fa parte di un osservatorio Autoritarismi

Come il berlusconismo, il trumpismo è il segno di un’epoca che non sarà legata solo a Trump. Il suo obiettivo è rendere legittimo ciò che finora è stato illegittimo. Spostare i confini del discorso pubblico per spostare i confini della sovranità.

Mi domando se non siamo già tutti dei cronisti di guerra, senza saperlo. Me lo chiedo mentre scrivo queste righe al sicuro dentro il calore di una biblioteca. Il dubbio mi sorge mentre rifletto sull’opportunità o meno di parlare ancora di Trump.

I suoi atteggiamenti sono tali che è difficile non parlarne. Come un veleno amaro che siamo costretti a ingoiare quotidianamente, ogni gesto e ogni discorso sembrano avere il potere di oltrepassare dei limiti non solo politici, ma anche umani. Trump non è solo un autocrate interessato prevalentemente a curare i propri interessi (com’era Berlusconi), ma è anche un sadico il cui obiettivo è disciplinare, sorvegliare, punire e, se necessario, far sparire tutti quelli che non appartengono alla parte giusta della storia (che sono anche suoi elettori).

Si può davvero scrivere d’altro, dinanzi ai suoi annunci barbarici? Il compito dei giornalisti e di coloro che orientano il discorso pubblico non è di mettere in guardia di fronte a ciò che sta accadendo?

D’altra parte, la trappola comunicativa è chiara. Questi annunci sono così eccessivi da risultare spesso surreali. Per usare un termine sdoganato anche dalla filosofia, non sono altro che bullshits, stronzate lanciate per essere rilanciate. Più ne parliamo, più ci convinciamo della loro verità. Dunque sarebbe meglio non parlarne. O parlarne il meno possibile, quanto basta per segnalare il pericolo ma non abbastanza da cadere nella trappola che amplificando le notizie le rende accettabili.

Del resto mi pare che le persone intorno a noi non vogliano sapere ciò che non possono non sapere. La vita persiste tenace e abbiamo già troppo di cui occuparci, per cui alla crisi sistemica delle democrazie reagiamo prevalentemente in una forma quasi ovvia: anche quelli che sono sconcertati dall’inumanità trumpiana eletta a programma di governo, preferiscono rifugiarsi nel loro privato, seguendo uno dei consigli più celebri di Italo Calvino: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Il mondo che Trump prefigura prende sempre più le fattezze di un inferno dei viventi. Solo che il suggerimento di Calvino appare oggi insufficiente. Perché mentre noi diamo spazio a coloro che non condividono quell’inferno, l’inferno si espande e si realizza. È un altro paradosso di questo tempo: le decisioni politiche finiscono per avere delle conseguenze etiche la cui gravità è tale che può essere risolta solo politicamente, non eticamente. Non basta più dissociarsi o costruire intorno a sé spazi in cui l’inferno di Trump non abbia diritto di entrare.

L’impressione è che continuiamo a giudicare con le consuete categorie della politica un mondo il cui tratto fondamentale è precisamente di voler spazzar via quelle vecchie categorie. Continuiamo a discutere di quale sia la formazione migliore da opporre agli avversari, non accorgendoci che gli avversari hanno già reso impraticabile il terreno di gioco. Non possiamo dunque che continuare a parlarne, pur riconoscendo che c’è modo e modo di farlo. Per qualcuno Trump è un’eccezione e la sua anomalia è legata a doppio filo alla sua personalità. Pensiero consolatorio, in fondo.

Io credo invece che parlare di Trump è riconoscere che la sua funzione è universale. Come il berlusconismo ha segnato un tempo che non è finito con la scomparsa di Berlusconi, così il trumpismo è il segno di un’epoca che non sarà legata solo a Trump. Si deve prendere sul serio un personaggio che propone di spostare forzatamente milioni di persone dalle loro case?

Tutti capiamo che se anche quel proposito non si realizzerà esattamente nel modo in cui viene annunciato, l’obiettivo di Trump è rendere legittimo ciò che finora è stato illegittimo. Spostare i confini del discorso pubblico per spostare i confini della sovranità. Trump è il capobanda di una trasformazione radicale della razionalità politica che sta letteralmente colonizzando il mondo, e noi per primi ne sappiamo qualcosa.

Nessuno è al sicuro da questa marcia forzata dell’autoritarismo contro la democrazia. Persino qui, in questa biblioteca così pacifica, non siamo più davvero al sicuro. I giornali servono a questo: non a rassicurarci, ma a metterci in guardia. E chi è ancora persuaso di scrivere al sicuro, scriva meglio.

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