I funerali laici nella sua aula alla facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza tra ricordi accademici, lacrime di studenti e gli applausi per l’ uomo che credeva ancora che “destra e sinistra non sono la stessa cosa” ROMA L’ applauso è lungo, ritmato, accompagnato dalla note di Bella Ciao. La cerimonia degli addii segna sempre uno strappo, ma il saluto a Stefano Rodotà – ieri mattina all’ Università La Sapienza – si colora d’ un sentimento che va oltre il lutto della perdita. C’ è il dolore grande per la scomparsa d’ un maestro del diritto, ma c’ è qualcos’ altro che ha a che vedere con l’ essere di sinistra, la consapevolezza che il suo impegno rigoroso, la vicinanza agli ultimi, la generosità nell’ offrire le proprie competenze al servizio degli indifesi sono qualità sempre più rare, in una scena pubblica che sembra dominata da altre logiche.
Si saluta in Rodotà uno degli ultimi grandi intellettuali che credeva ancora nella distinzione tra destra e sinistra. E a battere le mani con gli occhi arrossati non sono soltanto Maurizio Landini e Susanna Camusso, i ragazzi dei movimenti sociali, gli elettori che lo volevano sul Colle e ora gridano “pre-si-den-te, pre-si-den-te” tra qualche pugno alzato. A salutarlo sulla scalinata della facoltà di Giurisprudenza sono anche i suoi numerosi allievi, i colleghi che da Rodotà hanno imparato che la vita è più importante delle regole, Mario Calabresi direttore del giornale a cui il giurista aveva collaborato fin dalla fondazione, il suo editore Giuseppe Laterza. Una folla eterogenea che rispecchia una lunga vita di studio e impegno civile.
E da studioso Rodotà ha scelto di accomiatarsi. Da professore universitario, come sobriamente recitava il necrologio di famiglia. Professore emerito dell’ Università La Sapienza di Roma. E dentro un’ aula universitaria si sono svolti i funerali laici, nell’ aula dove per tantissimi anni ha tenuto le sue lezioni di diritto. Una cerimonia asciutta, a tratti accentuatamente accademica, come se lo si volesse mettere al riparo da appropriazioni indebite, da un uso strumentale da parte di una sinistra spaesata e divisa. La politica faccia un passo indietro, prego. Parlano i professori, non i leader con cui Rodotà ha colloquiato sempre da uomo libero.
Ad ascoltare gli interventi del rettore Eugenio Gaudio, del preside di Giurisprudenza Paola Ridola, del civilista Guido Alpi è una variegata platea che dalla sinistra realista di Giuliano Amato arriva a quella identitaria dei leader sindacali, dal grillino Di Maio al democratico Luigi Zanda, da Casini a Bassanini e Castellina. In sala anche i presidenti Grasso e Boldrini, mentre il governo appare meno presente: solo il ministro Martina, il premier Gentiloni era passato sabato nella camera ardente. E tutti applaudono allo stesso modo quando Gaetano Azzariti – il suo allievo costituzionalista prediletto – accenna agli insulti che lo colpirono nell’ ultimo tratto di vita. «Per comprendere lo stile costituzionale di Rodotà, la sua forza innovativa, bisognerebbe essere disposti al dialogo, alla comprensione reciproca. E invece in diverse occasioni nei confronti del maestro del diritto s’ è preferito utilizzare l’ insulto». Batte le mani anche Di Maio, forse dimentico che l’ offesa peggiore era arrivata proprio da Grillo: dopo averlo sostenuto nella corsa al Quirinale, l’ aveva liquidato come «un ottuagenario miracolato dalla Rete». E applaude con convinzione anche chi non ha mai difeso Rodotà dal piglio sprezzante dell’ ex premier contro “gufi” e “professoroni”.
Dal diritto è partita la battaglia di Rodotà per dare dignità alle persone concrete e per migliorare le istituzioni democratiche. E al diritto è dedicata la cerimonia della fine, un diritto che si nutre di impegno civile e “moralismo”. «Un giurista della società civile, più che un giurista di diritto civile», lo definisce Azzariti. «Un professore generoso, capace di accendere scintille negli allievi», insiste Gaudio. Uno studioso capace di esplorare territori difficilissimi, anteponendo alla regola e alla dottrina il diritto di amare.
Un diritto d’ amore non solo teorizzato ma anche vissuto in prima persona, negli affetti famigliari molto saldi, nel ruolo di nonno-papà dell’ amatissima nipote Zoe, nel rispetto delle scelte di libertà della figlia Maria Laura, nel legame profondissimo con la moglie Carla che ora insieme al figlio Carlo lo saluta per l’ ultima volta. E l’ applauso lungo, interminabile, avvolgente è anche per loro.
la Repubblica, 27 giugno 2017