“Restiamo in campo”, Comitati per il No nel referendum costituzionale e contro Italicum

22 Gennaio 2017

La sentenza della Corte Costituzionale sulle 5 ordinanze di rimessione dei Tribunali di Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova dopo la discussione nella pubblica udienza del 24 gennaio prossimo non costituisce un’invasione di campo della centralità del Parlamento bicamerale plebiscitata dal popolo italiano lo scorso 4 dicembre. Non è nemmeno l’esercizio di una supplenza della politica, ma l’esercizio del suo ruolo di garante della costituzionalità delle leggi senza zone franche, come era il caso delle leggi elettorali fino alla storica sentenza n. 1/2014.

Se le leggi elettorali sono leggi costituzionalmente necessarie esse devono essere necessariamente costituzionali e verificate prima della loro concreta applicazione in un rinnovo del Parlamento. I guasti provocati al sistema politico e istituzionale del nostro paese dall’incostituzionale legge n. 270/2005, anch’essa pensata come la legge n.52/2015, in funzione di una revisione costituzionale bocciata dagli elettori, sono sotto gli occhi di tutti. Quella legge è stata applicata nel 2006, 2008 e 2013 prima di essere dichiarata incostituzionale, ma lasciando in carica i parlamentari, non per responsabilità della Consulta, eletti con quella legge.

Non si deve ripetere nemmeno una volta: il voto con una legge incostituzionale viola i principi della sovranità che appartiene al popolo nelle forme e nei limiti della Costituzione, quindi  l’uguaglianza, la libertà e la personalità del voto non possono essere lesi da una legge ordinaria come è quella elettorale. La legge n. 52/2015, applicabile solo alla Camera dei Deputati, anticipava una “riforma” che deformava la nostra democrazia rappresentativa con forma di governo parlamentare. Questa legge era funzionale a una subordinazione del Parlamento e della Presidenza della Repubblica ad un Presidente del Consiglio che, grazie ad un abnorme premio di maggioranza, controllava persino il Parlamento in seduta comune, grazie ad un Senato ridotto numericamente e senza legittimazione popolare.

Per fortuna, grazie all’iniziativa del gruppo degli avvocati anti-italicum sorto nell’ambito e su iniziativa del Coordinamento per la Democrazia  Costituzionale, la legge sarà sottoposta al controllo di costituzionalità a nemmeno due anni dalla sua entrata in vigore il 23 maggio 2015 e a poco più di sei mesi dalla sua piena applicabilità fissata al primo luglio 2016: un notevole progresso rispetto agli 8 anni della legge n. 270/2005 e al terzo grado di giudizio 5 anni dopo la prima impugnazione.

Deve essere chiaro al Parlamento che i principi affermati appena  3 anni fa con la sentenza n. 1/2014 non sono derogabili neppure a colpi di voti di fiducia, che hanno come unico inquietante precedente quello sulla legge Acerbo nel 1923. Esprimiamo l’auspicio che i principi della sentenza 1/2014 siano ribaditi anche come linea guida per gli eventuali interventi integrativi parlamentari.

Approvato all’unanimità dall’assemblea nazionale dei comitati territoriali

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