Presidente Napolitano, perché non dai l’esempio?  

21 Novembre 2015

Sandra Bonsanti Presidente emerita Libertà e Giustizia

Aveva scritto ai giudici di Caltanissetta: “Nulla ho da spiegare o da chiarire” e ancora:”nulla ho a dichiarare”. E la Corted’Assise di Caltanissetta ci ha pensato cinque ore e poi gli ha dato ragione

 

Aveva scritto ai giudici di Caltanissetta: “Nulla ho da spiegare o da chiarire” e ancora:”Nulla ho a dichiarare”. E la Corte d’Assise di Caltanissetta ci ha pensato cinque ore e poi gli ha dato ragione. Dunque niente trasferta a Roma per ascoltare l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sui retroscena politici della trattativa, su cosa accadde nella politica nazionale nei giorni dell’uccisione di Paolo Borsellino.

Napolitano ha scritto di non aver nulla da aggiungere a ciò che disse nell’ambito del processo sulla trattativa quando depose in una sala del Quirinale.

Fa male però assistere a questo ennesimo tirarsi indietro di colui che ha rappresentato le Istituzioni al livello più alto. Avremmo voluto che comunque offrisse il suo aiuto alla ricostruzione di un periodo così oscuro della nostra storia. Ci sarebbe piaciuto che, sia pur convinto di non poter aggiungere altro, avesse detto: non credo di potervi aiutare, credo di aver detto tutto ciò che sapevo, ma comunque eccomi pronto, la collaborazione con la giustizia, da parte di chi è stato presidente del Csm per tanti anni, non può non essere completa, assoluta. Non può non esser totale.

Cosi, alla fine, qualunque sia il risultato di questo quarto processo sull’uccisione del giudice Borsellino, resterà agli atti la richiesta di Giorgio Napolitano di non testimoniare una seconda volta. Una richiesta abbastanza singolare, inviata al presidente della Corte. Hanno ritenuto, i giudici di Caltanissetta, di aver già elementi sufficienti contenuti nelle deposizioni di altri testi: Giuliano Amato, Claudio Martelli, Liliana Ferraro, Pino Arlacchi ecc. per ricostruire i risvolti politici di quel luglio del 1992, dell’arrivo al Viminale di Nicola Mancino alla sostituzione di Vincenzo Scotti. Una storia che ha avuto drammatici risvolti anche al Quirinale, quando Loris d’Ambrosio, consigliere giuridico di Napolitano, gli scrisse poco prima di morire di essere il primo a voler sapere cosa accadde nei giorni delle stragi: “Lei sa che di ciò ho scritto di recente su richiesta di Maria Falcone. E sa che in quelle poche pagine non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo ’89-’93 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi –solo ipotesi- di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”.

Un altro buco nero nei silenzi di Stato. Napolitano avrebbe dovuto dare l’esempio: con la giustizia si collabora fino in fondo, anche se si è convinti di non poter essere utili. Se l’esempio non viene da chi ha rappresentato la Repubblica, come si può sperare che i più giovani credano nei valori che dovrebbero tenerci insieme, come italiani, nei giorni bui che stiamo vivendo?

Caro Presidente, cosa c’è che gli italiani non devono conoscere di ciò che accadde allora?

 

Nata a Pisa nel 1937, sposata, ha tre figlie. Si è laureata in etruscologia a Firenze e ha vissuto per molti anni a New York. Ha cominciato la sua attività professionale nel 1969 al “Mondo” con Arrigo Benedetti.

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