C’è qualcosa di terribilmente simbolico nell’audizione al Quirinale del Presidente della Repubblica.
Qualcosa che va persino oltre il tema stesso della testimonianza, qualcosa insieme di paradossale ed estremamente ovvio. È paradossale e dunque scandaloso che si possa persino immaginare un qualunque accostamento della persona del Presidente della Repubblica a fatti criminali, a personaggi che hanno costituito la Cupola della Mafia, organismo all’interno del quale i boss sceglievano uno ad uno le loro vittime, organizzavano stragi, in compagnia di altri che non erano “solo mafia”.
Ma i Pm di Palermo che salgono al Colle non vanno certamente a chiedere a Giorgio Napolitano questioni che non lo riguardano affatto o che non lo hanno mai potuto sfiorare nemmeno da lontano.
Ed è proprio per questo che mi pare molto importante la deposizione del Capo dello Stato e la pagina che potrebbe essere scritta. Da quello che capisco la questione più importante sulla quale il Presidente della Repubblica dovrebbe cercare di rispondere, scavando nei suoi ricordi, riguarda quei risvolti della “trattativa” ai quali il suo consigliere Loris D’Ambrosio aveva accennato in una lettera molto nota scritta a metà giugno del 2012. Scriveva di episodi del periodo ’89-’93 “che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi – solo ipotesi di cui ho detto anche ad altri – quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi. Non le nascondo di aver letto e riletto le audizioni all’Antimafia di protagonisti e comprimari di quel periodo e di aver desiderato di tornare anche a fare indagini…”. Tutta questa frase cominciava con un “Lei sa ciò che ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone…”.
È dunque inevitabile chiedersi quali fossero le “ipotesi” su cui D’Ambrosio avrebbe voluto indagare, quali e di chi le dichiarazioni all’Antimafia, e, soprattutto, quali “gli indicibili accordi”.
È possibile che il Presidente non ricordi, oppure che ricordi solo qualcosa. Ma mi pare difficile negare che di qualche segreto della Repubblica deve trattarsi, di qualche pagina oscura. Forse addirittura di una storia che viene da molto lontano e che ci parla delle intese tra mafia e settori delle istituzioni, sin dal dopoguerra ma che sono valide ancora oggi: questo ci dicono la figura sempre più ambigua del generale Mori e le minacce ai magistrati di Palermo. Menti raffinatissime, sicuramente al lavoro nel tempo in cui crollavano i partiti storici travolti da Tangentopoli e si affacciavano nuove prospettive, nuove alleanze politiche, nuove protezioni.
Cambiava il mondo in Italia, fra l’89 e il ’93. Loris D’Ambrosio avrebbe voluto saperne di più. Per questo ogni briciola di memoria del Presidente potrebbe essere utile.
Per questo è così densa di simbolismo la testimonianza di Giorgio Napolitano.
Per questo temo che cercheranno di far saltare il processo, e di far rientrare le trattative nella triste normalità della nostra Italia: un Paese che dovrebbe stringersi attorno ai magistrati di Palermo invece di affidare la sorte della democrazia ancora oggi ai patti segreti e agli indicibili accordi.
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