Reprimere il dissenso, lo spirito critico, la manifestazione del pensiero. Anche quando pacifico. Le libertà civili sono, in Italia, bersaglio di un attacco che arriva da più parti, concentrico, interno a una strategia illiberale, di soffocamento di qualunque contestazione, da parte di qualunque categoria sociale: lavoratori, studenti, giornalisti, opinionisti, immigrati, detenuti.
Ogni misura preventiva è repressiva, porta con sé sanzioni e condanne che a loro volta ulteriormente restringono le libertà in una spirale inarrestabile.
Si comincia con gli studenti. Mercoledì, con 154 voti favorevoli, 97 contrari e 7 astenuti, la Camera ha approvato in via definitiva la riforma del sistema di valutazione nelle scuole italiane, con il ritorno del voto in condotta. Una misura spiegata dal ministro dell’Istruzione come strumento contro il bullismo ma che in realtà, come sintetizza Fanpage, serve a formare cittadini che obbediscono al potere. Repressione e castigo, scrive Luciana Cimino su Il Manifesto.
Un voto in condotta inferiore al 6 costa la bocciatura anche se tutte le altre materie sono sufficienti o più che sufficienti.
Si prosegue con i giornalisti. Alla già contestata legge Cartabia si mira ad aggiungere ulteriori freni al diritto e dovere di cronaca da parte dei professionisti dell’informazione. «Si sta parlando di norme che prevedono oltre alla condanna penale, oltre al risarcimento dei danni, anche una sanzione amministrativa che arriva fino a 50mila euro. Questo significa impedire ai colleghi che non hanno una azienda più che solida alle spalle, e sono ormai poche in Italia, di fare il proprio lavoro», ha denunciato Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti.
Si limitano i manifestanti. Nel Ddl sicurezza si aggiungono altri ventiquattro reati e aggravanti (su Pagella Politica un articolo completo) al già lungo elenco di reati per i quali si affollano le carceri italiane e le aule giudiziarie. Una delle novità contenute è la criminalizzazione dei sit-in stradali e delle proteste che comportino blocchi stradali: la condotta prima considerata illecito amministrativo diventa reato con una pena di un mese di carcere e 300 euro di multa in caso di un singolo e una pena da sei mesi a due anni se il blocco viene messo in atto da più persone. Aggravanti sono previste nel caso la protesta comporti il fermo della realizzazione di “un’infrastruttura strategica”.
Il decreto è passato alla Camera, in quella che è sembrata una preoccupante distrazione da parte dell’opposizione, e ora dovrà essere sottoposto al voto del Senato: proprio davanti Palazzo Madama, mercoledì si è tenuta una manifestazione nazionale mentre in contemporanea se ne svolgevano di simili davanti alle Prefetture di decine di città. Anche Libertà e Giustizia c’era.
Si colpiscono i detenuti nell’unica azione che a loro rimane per farsi sentire: protestare. Le proteste nelle carceri sono sempre e solo per le condizioni indegne in cui vengono lasciati: dall’inizio dell’anno oltre 70 detenuti si sono suicidati, come scrive Fulvio Fulvi su Avvenire. Non solo le rivolte – sul Il Manifesto il racconto dell’ultima di una settimana fa a Regina Coeli – ma anche la resistenza passiva verrà pesantemente colpita, se passerà definitivamente il decreto sicurezza.
Su Il Foglio, Adriano Sofri interviene sugli abomini del Ddl, con lo sguardo di chi per anni ha visto il mondo da dentro una cella.
Ancora gli immigrati. Venerdì 27 il Consiglio dei Ministri non ha approvato il decreto legge sulla nuova regolamentazione dei flussi d’ingresso dei lavoratori extra-Ue. Un voto rinviato in seguito al braccio di ferro tra il Ministro dell’Interno (assente in CdM) e quello della Giustizia “sull’attribuzione alla Guardia Costiera e ai prefetti competenze finora dell’autorità giudiziaria”, come riportato da La Repubblica. Allo stesso tempo nel Ddl Sicurezza si introducono norme ad hoc per gli stranieri, dove i documenti richiesti per l’acquisto di una SIM telefonica diventano pretesto e simbolo, scrive Giovanni De Mauro su Internazionale: per il decreto, infatti, per comprare una scheda telefonica non basterebbe solo il documento d’identità ma sarebbe obbligatoria la presentazione anche del permesso di soggiorno.
«Più pene e più galera, una strana idea di liberaldemocrazia» osserva Massimo Giannini nel suo Podcast, di cui ci ha autorizzato a pubblicare il testo.
In questo quadro, si inserisce quello che Donatella Stasio definisce «colpo mortale alla democrazia costituzionale», ossia la mancata elezione da parte del Parlamento del giudice in sostituzione dell’ex presidente della Consulta, Silvana Sciarra, che ha concluso il mandato l’11 novembre 2023, quasi un anno fa! Anche venerdì, per la settima volta, la seduta comune di Camera e Senato si è conclusa con una fumata nera.