Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino ad allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi, il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere (Italo Calvino)
La sortita di Renzi sulla richiesta di rinvio a giudizio che lo riguarda è profondamente inquietante. L’allievo ha superato il maestro (Berlusconi). Non era mai accaduto che, di fronte ad una richiesta di rinvio a giudizio, un politico reagisse immediatamente, attraverso la “character assassination” dei magistrati inquirenti, una tecnica raccomandata da alcuni consiglieri di Renzi, come è emerso proprio dall’indagine che si è appena chiusa (Inchiesta Open Renzi – Repubblica.it) e, contemporaneamente, la denuncia penale a raffica dei medesimi per pretese irregolarità nel compimento delle indagini, prima ancora che il giudice del processo si sia pronunciato sulle stesse.
Il che fa temere che analoghe iniziative possano scattare automaticamente in ogni caso di futuri provvedimenti sfavorevoli, con un effetto oggettivamente intimidatorio, che andrebbe oltre la semplice delegittimazione. Anche in passato si erano avute reazioni simili (basti pensare al cosiddetto “poker, anzi, scala reale” del PSI ai tempi di Mani pulite, o alle denunce presso la Procura di Brescia contro i magistrati milanesi da parte di B. per attentato alla costituzione, o infine alla vicenda del giudice civile che aveva condannato Mediaset ad un risarcimento dei danni miliardario, dileggiato per il colore dei calzini), ma almeno si era lasciato passare un po’ di tempo, oppure si era giocato meno pesante.
Inutile entrare nel merito delle accuse rivolte ai magistrati (in gran parte contestate e ancora da chiarire; merita solo sottolineare che, delle pretese molestie, reato perseguibile solo a querela di parte, uno dei tre non è stato chiamato a rispondere in sede penale, ma solo in sede disciplinare, semplicemente perché mai querelato, e non perché coperto da “protezioni”). Quel che colpisce è l’uso dell’argomento “ad homines”: sono innocente perché chi ha compiuto le indagini è indegno.
Non è da escludere che con questi metodi (ed in particolare con l’annunciata denuncia per i pretesi abusi nell’indagine) Renzi punti, al di là del polverone mediatico, alla “legittima suspicione”, cioè al trasferimento del processo dalla sua sede naturale: istituto di antica memoria, usato per spostare a Chieti il processo contro gli assassini di Matteotti, e a Catanzaro quello per la strage di piazza Fontana, tanto per fare gli esempi più eclatanti; e che, ridimensionato dal nuovo codice di procedura penale del 1989, è stato poi ripristinato dalla berlusconiana legge Cirami, lasciata sopravvivere dai successivi governi di centro-sinistra nonostante le contrarie promesse.
Ma il dato politico che mi sembra più interessante sottolineare è che il discredito che oggi investe ampiamente la magistratura, e che rappresenta il terreno favorevole ad iniziative come quelle in commento, si è prodotto proprio a seguito delle notizie emerse sugli incontri notturni in un albergo romano tra membri del CSM e uno dei coindagati di Renzi, ossia l’on. Lotti, riunioni che avevano lo scopo di concordare un titolare della Procura di Roma, presso cui lo stesso Lotti era indagato per lo scandalo Consip (https://www.ilgiornale.it/news/politica/sistema-1919237.html).
Insomma, la sostanza, paradossale, è che la politica prima ha partecipato al “sistema” cercando accordi sottobanco con la magistratura, o con una parte di essa (che ha avuto il torto di lasciarsi coinvolgere), e ora si serve degli effetti mediatici indotti dal venire a galla di tale “sistema” per attaccare e delegittimare ulteriormente la magistratura stessa a proprio vantaggio.