Il potere che conta (la finanza globale) a cui è asservita una politica incapace, succube, impotente quando non complice, sta tentando da tempo (e già con parecchi successi) di organizzare gli Stati e le loro Istituzioni a servizio del proprio interesse. Questo non può essere quindi che il tempo della governabilità invocata come la panacea di tutti i nostri mali e per ottenerla non si è badato e non si baderà a mezze misure. La partecipazione e la conseguente democrazia sono orpelli che un mondo moderno non può più permettersi.
Nel nostro Paese lo si è già in parte realizzata di fatto: inattuazione formale e sostanziale della Costituzione (basti pensare alle ultime leggi elettorali tutte anticostituzionali!) anche della sua prima parte, governi “istituzionali”, alleanze politiche improbabili e conseguenti programmi costruiti per cementarle, promulgazioni di leggi che favoriscono i più forti, mortificazione del Parlamento succube dell’autoreferenzialità arrogante dei partiti e ridotto a passacarte delle logiche dei governi.
Lo si è tentato di fare anche formalmente, soprattutto attraverso i due tentativi (2006 e 2016) di riforma costituzionale (profondamente stravolgenti lo spirito, la forma e la sostanza della nostra Costituzione antifascista) e mediante le diverse proposte di leggi elettorali.
Forse è vero che quest’ultimo tema, così come dicono molti politici, non importa poi molto alla maggior parte dei cittadini alle prese con ben altri, gravi ed immediati problemi, ma facciamo ben attenzione a disinteressarcene come vorrebbero, perché l’aspetto democratico delle istituzioni è profondamente connesso con i problemi quotidiani di ciascuno e le loro soluzioni. Se davvero alla gente non interessasse, come mai è un tema sempre all’ordine del giorno delle nostra politica nazionale?
Siamo l’unico Paese che a ogni tornata elettorale ripropone la questione della legge elettorale e il motivo alla fin fine è solo uno: a lor signori, divenuti padroni e non servitori della politica, non sta tanto bene avere i bastoni fra le ruote, anche se questi rappresentano la volontà popolare.
A guardar bene, ogni legge elettorale proposta, dal famigerato Porcellum (che hanno usato per governare anche in questi ultimi cinque anni fregandosene bellamente della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato anticostituzionale la legge e quindi la conseguente composizione del Parlamento), all’Italicum (la più bella legge elettorale, che tutti ci invidiavano, approvata con voti di fiducia che hanno spaccato il Pd e mai utilizzata) al Rosatellum uno e due con l’intramezzo della cosiddetta legge alla tedesca (un falso in atto pubblico perché di tedesco non aveva propria nulla) ha avuto due elementi costanti: quello di poter ottenere comunque artificiosamente una maggioranza (anche se con quella ora approvata non sarà facile) e avere il controllo pieno dei nominati.
Attraverso queste leggi si è voluto spingere il paese a divenire “bipolare”, che è la condizione migliore perché sia naturalmente garantita la governabilità e ora politicanti e commentatori più o meno di regime si stracciano le vesti perché il paese si ostina ad essere “tripolare”, senza accorgersi che la realtà ci mostra un’Italia che è “quadripolare” con addirittura un partito di maggioranza assoluta: quello degli astenuti.
Solo il referendum sulla Costituzione dello scorso 4 dicembre ha registrato un’inversione di questo trend: forse perché molti italiani hanno percepito che quella consultazione era importante e che il loro voto poteva contare davvero sull’assetto istituzionale e politico (e, perché no, “etico”) del Paese?
I padroni del vapore non possono nascondere una cosa così palese, ma non ne tengono realmente conto in quanto la conseguenza dovrebbe essere quella di rimettere in gioco se stessi, le loro politiche e tutto ciò che sono diventati i partiti, mentre per loro ciò che conta è assicurarsi la gestione del potere.
E’ “l’antipolitica” dicevano gli addetti ai lavori, dolendosene come fosse uno sgarbo fatto a loro e bollandola come una colpa di un elettorato insensibile e svogliato. Chiosavano i commentatori ed analisti più audaci che è’ “l’antipartitismo e l’antisistema” come reazione ad una classe politica inadeguata e castale, è “la protesta” di chi percepisce la politica troppo lontana dal proprio sentire e dai bisogni della società.
Temo che questo astensionismo non stia solo ulteriormente radicandosi numericamente, ma stia mutando la sua natura profonda trasformandosi in quella cosa che Zagrebelski, nella sua intervista, individua come “l’impolitica”: non è più il rifiuto di questa politica e di chi la gestisce, ma diventa il rifiuto della politica in quanto tale, un tarlo pericoloso e grave che mina nel profondo le ragioni sociali che tengono in piedi una comunità. La storia ci dice che non ne è nato mai nulla di buono.
Mantova, 11 Novembre 2017
(*) L’autore è il coordinatore del Circolo LeG di Mantova