Caro Furio Colombo, la sera del 30 settembre, nel confronto Renzi-Zagrebelsky, io ho visto una cosa. Tutti i grandi giornali ne hanno vista un’ altra, per non parlare dei racconti vellutati delle tv di Stato. A me sembrava tutto chiaro: uno dei due sapeva e l’ altro no. Perché sono rimasto solo? Rodolfo
Assicuro il nostro lettore che non è rimasto solo. Il giudizio che sto per dare (e che certo non è solo il mio, basta chiedere a caso) tiene conto della efficacia e bravura retorica che, in generale, è tipica di Renzi.
Questo riconoscimento inevitabile consente di dire che la sua performance, nel confronto con il professore costituzionalista, è stato per lui la peggiore. E, in generale, una brutta prova. Porto a chi mi sta leggendo tre prove. La prima (e, proprio per Renzi, la più clamorosa) è stata la condizione di non controllato nervosismo, che lo spingeva a un atteggiamento offeso e aggressivo persino nei momenti più facili di attesa o di ascolto.
La seconda (che utilmente Padellaro, in questa stessa pagina ha definito “coglionella”, ispirandosi, lui mi assicura, a un gergo romanesco) è stato un atteggiamento di insofferente disprezzo manifestato da eccesso, ripetuto e sarcastico, di rispetto al grande professore. La struttura delle battute sembrava provenire dal vecchio “gran varietà” in stile Vianello-Mondaini, o dall’ indimenticabile dialogo fra Totò e l’onorevole Trombetta, ma anche da Campanini che redarguisce l’incompetente che si ostina a descrivere il Sarchiapone.
Renzi di solito è più bravo, più accorto, ma la tensione nervosa e un pubblico oceanico, compatto e consenziente che ha in mente quando parla, e di fronte a cui non voleva sfigurare, lo ha giocato.
Il confronto è stato deciso non dal merito degli argomenti e delle rispettive risposte, che ovviamente variava fra una posizione e l’altra (così come è certo accaduto fra il pubblico). È stato deciso (a svantaggio di Renzi) dalla scossa di un nervosismo permaloso e aggressivo, testimoniato anche da frasi con cui Renzi ha frenato, all’ ultimo istante, affermazioni che annunciavano chiaramente (se completate) un insulto o una offesa, sia pure travestita da “massimo rispetto”.
Il professor Zagrebelsky è stato limpido, calmo e professorale quanto basta (“Mi guardi, quando parla!”, “Ma mi sta ascoltando?”) per mostrarci una piccola parte del grande dislivello che divide le due persone e i due livelli di cultura scientifica e di cultura dei rapporti fra persona e persona.
Il Fatto Quotidiano, 04 ottobre 2016