Il leitmotiv di queste elezioni amministrative è indubbiamente il risultato sorprendente del M5S — primo partito a Roma e robustamente secondo a Torino. Ma anche poco appariscente a Napoli o a Milano, tanto per citare due grandi città che si preparano al ballottaggio e dove la contesa è ancora tra sinistra e destra (pur nella differenza che questi schieramenti presentano).
Sia a Napoli che a Milano le amministrazioni uscenti di sinistra sono ancora percepite dagli elettori come soddisfacenti e non identificate in tutto con l’ establishment – il sindaco de Magistris ha rappresentato una sinistra populista e il sindaco Pisapia una sinistra civica. E nessuna delle due città è terra fertile per il M5S. Il quale cresce bene laddove è di recente radicalizzazione istituzionale e soprattutto laddove le insoddisfazioni per il partito di maggioranza uscente (soprattutto il Pd) sono molto forti. Per completare il quadro occorre aggiungere che il M5S non si è presentato ovunque: tanto la sua visibilità, quindi, quanto la sua forza sono a macchia di leopardo. E tuttavia dove il grillini si sono affermati hanno avuto effetti dirompenti.
Roma è certamente un caso macroscopico e forse non generalizzabile. Ma, con i dovuti distinguo, non è il solo. Il caso di Torino non è meno dirompente ed eloquente: qui probabilmente all’origine del 30 per cento di Chiara Appendino vi è non tanto il giudizio sull’ operato dell’ amministrazione Fassino (che ha ben governato tutto sommato) ma probabilmente la decisione del Pd di tentare di blindare il proprio successo alleandosi con una formazione moderata e ancora di più lo scandalo delle “giunte fantasma” – Appendino ha espugnato una delle roccaforti storiche del centrosinistra, proprio dove la maggioranza uscente a guida Pd è finita al centro di questo scandalo – anzi questa è l’ unica circoscrizione nella quale il M5S ha superato la coalizione di Fassino. Quindi anti- establishment e purezza (i due cavalli di battaglia tradizionali del M5S) hanno vinto a Roma e a Torino. Questo spiega perché i grillini sono forti e trainanti laddove non hanno ancora fatto esperienze di governo o dove la presenza nelle istituzioni non si è stabilizzata. Il caso di Bologna è da questo punto di vista una controprova interessante.
Nel capoluogo emiliano, dove il M5S è radicalizzato dal 2009, riesce perfino a generare astensione. Secondo l’ Istituto Cattaneo, a Bologna l’ elettorato grillino sta diventando «più fedele e radicato», prova ne sia che non riesce più a riportare al voto gli astenuti: «Si “nutre” ormai di elettori fedeli e, in alcune città, di transfughi del centrosinistra ». Questo ci suggerisce che il M5S si afferma in forme dirompenti dove è ancora elettoralmente giovane. E soprattutto dove il Pd – il suo vero e unico antagonista – sfigura o è identificato con l’ establishment o lascia cadere la connotazione ideologica di sinistra. Di questo vuoto si avvantaggiano i pentastellati pur non essendo un movimento di sinistra.
Il non-partito M5S non ha una linea politica nazionale unita ad un grappolo di principi partigiani – è un movimento gentista che si nutre di temi trasversali che segnalano le disfunzioni della democrazia praticata, ovvero dei partiti tradizionali. Onestà e purezza, lotta contro l’ élite o la “casta” sono temi generici e generali che unificano i settori più diversi della popolazione.
Per esempio, a favore di Virginia Raggi hanno votato giovani, meno giovani e anziani e poi occupati e disoccupati; ma per Giacchetti hanno votato pochi giovani e pochi disoccupati. A Roma, rispetto ad un Pd che vince ai Parioli, oggi è il M5S che può farsi vanto di essere il partito popolare o dei ceti popolari, il partito che vince dove vinceva la sinistra storica, nelle periferie e nelle borgate. In queste realtà che sono tradizionalmente sensibili ai temi di denuncia populista, i grillini riescono a mobilitare l’elettorato come i partiti dell’ establishment non fanno né si sforzano di fare, preferendo concentrarsi sui ceti medi e medio-alti e sull’elettorato moderato (e non disdegnando l’astensionismo). Il M5S scompagina questa normalità.
La Repubblica, 8 giugno 2016