Care amiche e cari amici, celebriamo il 2 giugno rinnovando il patto di fedeltà e la gratitutudine a quel popolo di cittadini che ci consegnarano – e il prezzo è qui scolpito per l’eternità con il lungo elenco di foto, di volti, che ci scrutano dal Duomo di Modena – la libertà e la Costituzione, una carta che conteneva le garanzie perchè i tentativi e le tentazioni autoritarie non trovassero spazio in Italia e per le quali si affrontarono morte e torture.
Qualche giorno fa è squillato il mio telefono a Firenze: “Sono Vittorio Meoni, ho 92 anni, credo di essere l’ultimo sopravvissuto alla Banda Carità”. Gli dissi “vengo”, e sono andata. Ha gli occhi azzurri che fissano i tetti rossi di Siena, è presidente dell’ANPI della Toscana, dietro la sua poltrona il diploma di laurea in giurisprudenza presa nel 1945 firmata e consegnatagli da Piero Calamandrei. Prima di tutto un sogno, il loro sogno; eravamo alla macchia, pensavamo a un mondo ideale, che un mondo ideale fosse impossibile. Certo, non immaginavamo la corruzione, lo sfaldamento del sistema dei partiti, e oggi della sinistra. Lui, antica militanza nel partito comunista, dice: “la sinistra si è infognata in una discussione senza senso, perchè riscrivere la costituzione, se l’applicassimo invece di parlare di bicameralismo e di chiusura del Senato? Se la realizzassimo, la Costituzione – dice Vittorio – non è un ostacolo. Quando c’è la volontà politica partendo dalla Costituzione si possono fare tutte le riforme necessarie”.
Grazie Vittorio, da qui partiranno molte delle riflessioni che faremo oggi con la serenità, e riprendiamoci questa parola oggi abusata e travisata, con la serenità di chi si confronta con onestà di intenti con temi anche scottanti dell’attualità politica.
E cominciamo ringraziando Modena e il suo sindaco e tutta l’amministrazione che ci ha consentito di essere qui. Non è da tutti oggi spalancare le porte a professoroni e a gufi. Voi l’avete fatto e noi non tradiremo la vostra fiducia. Grazie alla Gazzetta di Modena e ai suoi giornalisti che ci hanno dato spazio. Non siamo, Libertà e Giustizia non è, un insieme di pericolosi sovversivi che in un momento di grande esaltazione nazionale per qualcuno che promette novità e velocità si mette di traverso. Noi, Libertà e Giustizia, e i nostri amici, siamo una voce libera che critica se c’è da criticare e che propone soluzioni. Questo stiamo facendo e continueremo a fare. Noi però non toglieremo il disturbo, questo solo sappiamo fare. Rivendicare il sogno di Vittorio e quello di Calamandrei e di Salvemini che nel 1945 così definivano la libertà politica: “Che cos’è la libertà politica? E’ il diritto di non essere d’accordo con gli uomini che controllano il governo. Da questo diritto nascono tutti i diritti di un cittadino in un regime libero”. In sostanza, dicevano Calamandrei e Salvemini che avevano sperimentato il ventennio, la libertà “serve a proteggere le minoranze nel loro diritto di opposizione”.
Finisco con una citazione solo apparentemente letteraria. Sono le ultime parole di “Cristo si è fermato a Eboli” scritte da Primo Levi nel luglio del 1944 nel suo apaprtamento in piazza Pitti mentre lui era uno dei capi della resistenza fiorentina e stava aprendo la strada all’arrivo degli alleati. Finito il confino laggiù, oltre Eboli, nel 1936 il giovane Levi riparte per il nord e scrive: “Era una giornata serena e da quell’altezza le acque si stendevano amplissime; una brezza fresca veniva dalla Dalmazia e increspava di onde minute il calmo dorso del mare. Pensavo a cose vaghe, la vita di quel mare era come le sorti infinite degli uomini, eternamente ferme in onde uguali, mosse in un tempo senza mutamento. E pensai con affettuosa angoscia a quel tempo immobile e a quella nera civilità che avavo appena abbondonato. Ma già il treno mi portava lontano, attraverso le campagne matematiche di romagna, verso i vigneti del piemonte e quel futuro misterioso di esilio di guerre e di morti che allora mi appariva appena come una nuovola incerta nel cielo sterminato.”
Buona manifestazione a tutti, grazie di essere qua.