L’ha sfangata per la seconda volta l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, berlusconiano doc. Come a dicembre il centrodestra aveva negato alla Camera (con 360 voti) il suo arresto per complicità con i camorristi campani, così ora una più ridotta maggioranza (308 contro 285) ha impedito che la magistratura potesse utilizzare ben 46 intercettazioni relative a suoi colloqui con personaggi sospettati di essere nel giro della criminalità organizzata. Nei confronti di Cosentino la magistratura comunque continua a procedere tanto per complicità nelle vicende dei casalesi (cui si riferiscono le intercettazioni) quanto per il dossieraggio contro il candidato a governatore della Campania, rivale proprio di Cosentino. Il risultato politico è però più grosso e significativo: Berlusconi e Bossi hanno fallito la prova ante-fiducia: i 316 voti della maggioranza assoluta non ci sono, o non ci sono ancora.
Ora, sulla carta, la posizione dell’ex sottosegretario era molto a rischio dal momento che oltre al centrosinistra si erano dichiarati favorevoli all’uso delle intercettazioni l’Udc (39 voti), i finiani (34), l’Alleanza per l’Italia di Rutelli (7), l’Mpa (5), e i liberaldemocratici (3). Ma, con mossa sfacciatamente strumentale, il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto ha chiesto e ottenuto che l’assemblea di Montecitorio si pronunciasse a voto segreto. E allora, a scrutinio concluso, si è avuta la conferma che il voto segreto aveva (grossolanamente) celato un vero e proprio mercato: ai “sì” per l’uso delle intercettazioni sono mancati da dodici a quindici voti – giusto quelli che avrebbero ribaltato l’esito del voto! –, “un fatto gravissimo che spiega la richiesta del voto segreto” ha denunciato immediatamente il capogruppo Pd Dario Franceschini: “Chi ha votato contro le decisioni ufficiali dei rispettivi gruppi si è assunto una grave responsabilità personale e politica”. Senza contare alcune significative assenze dall’aula. Guarda caso non c’erano i quattro deputati siciliani dell’Udc in rotta con Casini: Calogero Mannino, Saverio Romano, Giuseppe Drago e Giuseppe Ruvolo, e i loro due colleghi campani Angelo Cera e Domenico Zinzi. Assenti anche Massimo Calearo (passato dal Pd all’Api), Francesco Pionati (Alleanza di centro), due di Noi Sud. Sei assenti tra i berlusconiani. Impossibilitati a votare, perché malati, solo due deputati del Pd: Marco Fedi e Daniela Sbrollini. Sei gli assenti tra i berlusconiani.
Franceschini, e più tardi Nello Formisano (Idv) hanno posto anche un’altra rilevante questione connessa al voto. Il presidente dei deputati democratici ha sottolineato come sia “doveroso che Cosentino si difenda al processo, ma qui stiamo parlando di un processo sulla criminalità organizzata”. E l’esponente dipietrista: “Il fatto più grave è che ancora una volta una maggioranza della Camera si è sostituita alla magistratura!”.
Resta tuttavia un altro e rilevante dato politico: altro che quota 360 (il picco raggiunto da Cosentino a dicembre, dopo essere stato costretto alle dimissioni da sottosegretario per evitare il voto di sfiducia individuale), la maggioranza si è arenata – con tutto il mercimonio coperto dal voto segreto – a quota 308, sotto la quota minima di 316 cui aspira tra una settimana Silvio Berlusconi per ottenere la fiducia. E la fiducia non si vota a scrutinio segreto ma, obbligatoriamente, con voto palese. Ma per l’accusato numero uno della giornata, Cosentino appunto, il voto dimostrerebbe che “il governo Berlusconi gode di un’ampia maggioranza a prescindere da Fli”, cioè del gruppo di Fini. Contento lui, che ha motivo personale di esserlo, meno soddisfatti parecchi esponenti della non-maggioranza, almeno oggi, di fronte alle cifre stentate e, probabilmente, frutto di una compravendita che non potrà essere mascherata facilmente la prossima settimana. Ma Cicchitto è ancora più ardito: parla di una scelta “anzitutto sul terreno dei valori”, espressi manco a dirlo nel segreto.