Giovedì sera, alle ore 21, sarà trasmesso in televisione “Il leone del deserto”! E’ una semplice coincidenza con la nostra denuncia sulla censura (che si trascina dal 1981) di questo spettacolare film storico che ricostruisce la resistenza senussita in Libia contro il colonialismo fascista. Una semplice coincidenza, ma è certo significativa – e comunque dà grande soddisfazione a Libertà e Giustizia che in questi giorni aveva riaperto il contenzioso con la presidenza del Consiglio e con la Rai reclamando la trasmissione del film che è stato visto in tutto il mondo ma non in Italia.
Certo, si tratta di una proiezione ancora con diffusione relativamente limitata (solo sul satellite), e per iniziativa non pubblica ma privata: di Sky, dell’editore australiano Rupert Murdoch, che manderà in onda il film sul canale Sky Classic film (canale 315) . Probabilmente, più che la nostra iniziativa, ha giocato la circostanza dell’arrivo a Roma di Gheddafi: nessuna migliore coincidenza per sottolineare le responsabilità del fascismo nei confronti della Libia messa a ferro e fuoco da Badoglio e Graziani. Però anche l’uscita del “Leone” (la figura di Omar al-Mukhtàr è impersonata nel film da Anthony Quinn) su Sky può sostenere, ad adiuvandum, la richiesta che abbiamo rivolto al presidente della Rai, Paolo Garimberti, e al presidente della Commissione parlamentare di vigilanza, Sergio Zavoli, perché il servizio pubblico sia davvero e una buona volta tale, decidendo di trasmettere il film su un suo canale, in chiaro.
A proposito della nota con cui avevamo reclamato la trasmissione de “Il leone del deserto” dobbiamo un chiarimento (forse superfluo) a qualche collega che ha mosso un’obiezione: “Senza nulla togliere” al nostro “lodevole interessamento (….) per la mancata diffusione del film”, c’è da ricordare che “sull’argomento sono stati fortunatamente versati fiumi d’inchiostro”.
E chi lo ha negato? Avevamo scritto, testualmente, che “molti di voi avranno sentito parlare” della scandalosa censura operata dal governo (e per esso da una commissione di censura) nei confronti di un’opera che avrebbe danneggiato l’onore dell’esercito italiano, e che “molti s’indignano ancora”. Ad onore dei molti, ricordiamo allora qualche nome: da Pietro Petrucci, che delle vicende africane è da sempre uno studioso appassionato; a Eric Salerno, che scrisse un documentato saggio sui campi di concentramento italiani in Libia (dove morirono centinaia di migliaia di senussiti) e sulla pubblica impiccagione di Omar al-Mukhtar; ad Angelo Del Boca, autore di ben sette libri sulle avventuristiche imprese coloniali fasciste in Africa (fu lui, tra l’altro, a denunciare per primo l’uso dell’iprite per uccide i libici, sempre negato da Indro Montanelli). Così ogni merito è riconosciuto pubblicamente. E giustamente. Un tempo si sarebbe detto: organizzate la visione!
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