Davigo ai politici: “Quando fanno pulizia? Occorrono pentiti e agenti sotto copertura, ma il Parlamento oppone resistenza”

26 Ott 2015

Non è bastato il sorriso di Maria Elena Boschi, con gli elogi e la mano tesa ai magistrati, per archiviare la tensione che si era creata nei giorni scorsi dopo che da Bari, al Congresso dell’Anm (Associazione Nazionale Magistrati), erano partiti gli attacchi al governo e alla maggioranza, accusati di occuparsi più di combattere le intercettazioni che il malaffare.

 Dopo che il ministro Andrea Orlando aveva provato sabato a fare l’occhiolino all’Anm (“interlocutore essenziale del governo”), la squadra renziana ha giocato un’altra carta: l’intervento suadente della ministra delle Riforme nella giornata conclusiva del Congresso. Giacca salmone e capelli sciolti, la Boschi si affida a Niccolò Machiavelli: “Non ci può essere una città libera dove anche un solo cittadino è temuto da un magistrato”. L’intento è elogiare l’indipendenza della magistratura. Qualcuno in sala resta perplesso, altri non si fanno convincere. Come l’ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo, ora giudice di Cassazione. “È stata data – dice Davigo – una delega totale alla magistratura per ripulire la classe dirigente del Paese, ma questo non compete a noi”. Ci dovrebbe essere “una selezione precedente”, basata sull’idea “che non tutto quello che non è reato può essere accettabile”, sottolinea il magistrato tra gli applausi. Insomma deve essere la politica a “ripulire” la classe dirigente; così finirebbero la“gran parte delle tensioni” con la magistratura, che processerebbe soltanto “e x”, cioè politici già allontanati. S e c o n d o Davigo, poi, “l’unico strumento” che permetterebbe di sradicare la corruzione sono le “operazioni sotto copertura”: l’uso, cioè, di agenti provocatori che, come già avviene negli Usa e in altri paesi, offrono tangenti a politici e pubblici amministratori per saggiarne la correttezza. Un’altra arma indispensabile è quella dei “pentiti”, come per la mafia e il terrorismo: “Ci vuole una forte normativa premiale: si potrebbe arrivare alla non punibilità del primo che parla fra corrotto e corruttore”, purchè dica tutto ciò che sa: “Chi volete che dia soldi a un funzionario pubblico che, una volta preso, potrebbe fare i nomi perchè gli conviene?”.

   Purtroppo, osserva il magistrato, c’è una forte “resistenza” in Parlamento, che “si rifiuta di approvare” interventi così semplici ed efficaci. E si domanda provocatoriamente perchè. Forse la risposta è nella fotografia del Parlamento, dove siedono 80 fra indagati, imputati e condannati, numero raddoppiato negli ultimi due anni.

   È in questo clima che Maria Elena Boschi, nella giornata di chiusura del Congresso, prova come può a rabbonire il sindacato togato: prima elogia la categoria, ricordando che la partecipazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla giornata inaugurale del Congresso ha dimostrato “come tutta l’Italia riconosce il valore” di chi “serve il nostro Paese” con la toga indosso. Poi parla delle risorse rinvenute nella Legge di Stabilità per assumere 300 nuovi magistrati, “un segnale di inversione di tendenza, che sarà rafforzato in futuro”. La platea si divide fra chi si accontenta e chi no. Le preoccupazioni della magistratura restano e trovano spazio anche nella mozione finale del Congresso: che ribadisce quanto detto dal presidente Sabelli nella relazione iniziale sul “clima di delegittimazione e sfiducia nel sistema giudiziario” e sulla richiesta di riforme coraggiose contro mafia, corruzione e prescrizione dei reati.

   L’ANM si opporrà “a ogni tentativo di ridimensionamento del proprio ruolo istituzionale e di rappresentanza dell’intera magistratura”, è scritto nero su bianco. Come a dire che gli elogi, le promesse e i sorrisi non bastano.

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