Slavoj Žižek il capitalismo post covid è davanti a un bivio

20 Luglio 2020

Con l’arrivo della pandemia – è la tesi dell’ultimo libro di Slavoj Žižek, “Virus” – le nostre vite normali sono state messe in pausa e quello che ci viene offerto è la possibilità di ripensare il nostro rapporto con il mondo.

Abbiamo visto tutti Matrix e conosciamo tutti la famosa scena in cui Morpheus dice a Neo di scegliere tra la pillola blu e la pillola rossa. La pillola blu significa continuare a vivere nella realtà di tutti i giorni, andando avanti come se nulla fosse; la pillola rossa significa invece ridestarsi al vero stato delle cose, e scoprire la menzogna che regna sulle nostre vite. È un’immagine che utilizza Žižek nel suo ultimo libro, “Virus”, scritto durante il lockdown e uscito in buona parte a puntate sulla rivista italiana Internazionale. C’è una verità che sta oltre tutto quello che crediamo essere vero e che pensiamo di conoscere, una verità che ci governa senza che ne siamo in alcun modo consapevoli. Viviamo nella convinzione che le cose siano esattamente come ci appaiono, certi di essere i protagonisti assoluti della nostra esistenza e sicuri di avere il pieno controllo sulle scelte che dipendono da noi; finché un giorno un evento, un incontro o una coincidenza inaspettati spezzano questo incantesimo alienato e la nostra grande libertà si mostra per ciò che essa era veramente: pura e semplice illusione.

Ci sono a volte delle circostanze talmente estreme e particolari che possono provocare una vera e propria rottura gnoseologica dentro di noi; i criteri attraverso cui giudichiamo comunemente la verità delle cose risultano inadeguati, i nostri giudizi di valore si scoprono obsoleti, tutte le conoscenze a cui abbiamo accesso diventano improvvisamente inefficaci: la nuova realtà che ci troviamo di fronte è così diversa da tutto ciò a cui siamo abituati che i soliti vecchi schemi non funzionano più. Sono delle esperienze-limite, generalmente occasionali, che però possono segnare il nostro destino in maniera fatale: possiamo decidere di tornare alla “normalità” e fare finta che non sia successo niente; possiamo decidere di cambiare il nostro futuro e interpretare quell’esperienza come un segnale del fatto che i tempi sono cambiati. Per Žižek, il virus rappresenta uno di questi momenti: una sorta di epochè a 360° gradi in cui l’attività produttiva dell’intero pianeta (con le dovute differenze s’intende) è stata letteralmente sospesa per alcuni mesi e tutto quello che sapevamo – o credevamo di sapere – sulla vita abbiamo dovuto metterlo da parte.

Queste circostanze-limite sono a tutti gli effetti delle esperienze di verità; viene meno quello che Lacan (autore molto caro a Žižek) avrebbe chiamato il “grande Altro”, cioè l’universo simbolico collettivo che fa da sostrato alle nostre vite. In altre parole, ciò che viene meno è la struttura condivisa che regola silenziosamente le nostre vite, l’insieme degli usi e dei costumi quotidiani a cui già da sempre siamo abituati e che tendiamo a dare completamente per scontati. È un’esperienza che per alcuni può rivelarsi sconvolgente; infatti, secondo Žižek, «incombe una crisi psicotica quando questo grande Altro comincia a disintegrarsi: l’orrore non risiede nella trasgressione dei costumi condivisi, l’orrore prorompe quando prendiamo consapevolezza del crollo dei costumi, del fatto che ci manca qualunque terreno su cui fare affidamento». Questo crollo però allo stesso tempo può rappresentare un’apertura salvifica: venendo meno tutto ciò a cui siamo abituati, possiamo assumere una distanza critica nei confronti della nostra vita e rimettere in discussione tutto ciò a cui credevamo di essere destinati. Possiamo emanciparci dal grande Altro, e scoprire una verità più profonda su noi stessi.

Con l’arrivo della pandemia, secondo Žižek, ci troviamo oggi di fronte a una situazione molto simile a quella in cui si è trovato Neo quando gli è stato offerto di scegliere tra la pillola rossa e quella blu: le nostre vite normali sono state messe in pausa e quello che ci viene offerto è la possibilità di ripensare il nostro rapporto con il mondo. Nel film di Matrix scoprire la verità significa scoprire che la realtà è solo un grande sogno collettivo di massa, progettato da una gigantesca intelligenza artificiale che si ricarica grazie alle energie dei nostri corpi; gli uomini hanno completamente perso il controllo della tecnologia: credono di avercelo, ma nella vera realtà sono solo delle batterie che servono ad alimentare l’intelligenza automatizzata delle macchine. Noi, invece, con la diffusione del covid-19, ci siamo ritrovati a dover scegliere tra la salute e l’economia, tra l’andare al lavoro rischiando la vita oppure rimanere a casa rischiando la fame; non significa già questo essere arrivati a un bivio in cui si è obbligati, volenti o nolenti, a prendere delle decisioni radicali? Rischiare di morire per salvare l’economia – quest’economia, che si basa sul profitto, l’espansione e gli sprechi –, non è forse un’assurdità incompatibile con le famose libertà di cui il capitalismo si fa promotore?

Ovviamente anche il coronavirus, come tutti i grandi eventi che hanno delle ripercussioni sulla sfera della politica, si presta a letture ideologiche differenti, che servono agli interessi dei vari gruppi di potere coinvolti. Secondo la destra populista, a cui purtroppo strizza l’occhio anche una certa sinistra libertaria – in Italia penso soprattutto a Giorgio Agamben e Diego Fusaro –, prendere la pillola rossa significa capire che il virus è solo uno stratagemma messo in atto dai vari governi per poter esercitare un controllo sempre più assoluto sui cittadini. «Di fronte alle frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza per una supposta epidemia dovuta al virus corona» (Agamben), continuare a girare con le mascherine ed evitare certi comportamenti in via precauzionale non significa affatto essere prudenti e responsabili; al contrario, solo chi non ha cuore la propria libertà può accettare le ridicole limitazioni imposte dai governi. Il popolo ha bisogno di panico, così poi lo Stato può farsi garante della sua sicurezza – il virus corona ha offerto il pretesto ideale per mettere in atto questo machiavellico piano di controllo sulla popolazione.

Secondo una narrazione dei fatti invece completamente differente, condivisa soprattutto dalla sinistra radicale e progressista, scegliere la pillola rossa significa scoprire una volta per tutte l’incompatibilità del capitalismo con la convivenza umana. Non si tratta solamente di scelte politiche aberranti che, in nome del libero sviluppo dell’economia, stanno costando la vita a centinaia di migliaia di persone, ma del fatto che mai come oggi ci rendiamo conti di quanto sia fondamentale per la vita di un Paese poter contare su uno Stato efficiente e autorevole, sulla capacità delle comunità di auto-organizzarsi su base locale, sulla solidarietà tra cittadini consapevoli e responsabili e sulla loro disponibilità a compiere sacrifici in nome del bene comune: tutto ciò che il libero mercato ha cercato di tagliare fuori dalla politica. «Prendere la vera pillola rossa», scrive Žižek, «significa raccogliere le forze per fronteggiare la minaccia di queste tempeste. Lo possiamo fare perché, in misura notevole, dipendono da noi, da come agiamo e reagiamo a questo tempo difficile. Smettiamo di sognare la normalità di prima, e abbandoniamo anche il sogno di entrare in una nuova era post-umana di esistenza spirituale collettiva».

Non è questo il momento per trovare il senso della vita, ma è questo il momento di agire politicamente e di ritrovare il senso della cooperazione internazionale. A problemi di natura planetaria non si può rispondere con il principio della concorrenza economica, che in ultima istanza può rivelarsi davvero fatale, ma con quello della solidarietà organizzata. Il 7 febbraio, nel secondo capitolo del libro, prima ancora che il mondo intero entrasse in lockdown, Žižek scriveva: «Una cosa è certa: nuovi muri e altre quarantene non risolveranno il problema. Servono solidarietà e una risposta coordinata su scala globale, una nuova forma di quello che un tempo veniva chiamato comunismo». Perché la quarantena non può risolvere il problema? Perché è una risposta estrema a una situazione di emergenza grave e inaspettata; in questo caso sì, si tratta di una soluzione adeguata rispetto a una situazione che è decisamente fuori dalla norma. Ci sono buone ragioni però per credere che le pandemie non siano affatto un evento così tanto straordinario come ci verrebbe da credere.

Innanzitutto, bisogna riconoscere che questo virus non sparirà dalla circolazione tanto in fretta; a Pechino, dove la situazione sembrava sotto controllo, c’è un nuovo focolaio di coronavirus e interi quartieri sono stati isolati dal resto della città; in America Latina e in quella del Nord il peggio non è mai passato e molti Paesi si trovano ancora nella fase acuta del problema; in questo contesto, con la riapertura delle frontiere e la ripresa del turismo, ci vuole un attimo perché la situazione precipiti nuovamente a livello globale. Inoltre, non c’è alcuna ragione di pensare che il coronavirus sia un episodio isolato, risolto il quale la vita ritornerà alla normalità. È proprio di questi giorni la notizia di una nuova possibile pandemia che arriverebbe sempre dalla Cina, essendo stato scoperto un nuovo virus nei maiali che avrebbe già fatto il salto di specie e infettato l’uomo. Senza contare che dopo la SARS e l’ebola (quest’ultima ricomparsa a inizio giugno nella Rep. Democratica del Congo), è da anni che gli esperti ci mettono in guardia dai pericoli delle pandemie nell’era della globalizzazione: quello che succede dall’altra parte del mondo può diventare un nostro problema in un tempo molto più rapido di quanto potessimo mai immaginare.

Ce lo siamo detti tutti nelle ultime settimane, tutt’ora continuiamo a sperarlo in cuor nostro: finita la pandemia sarà tutto come prima. Invece si tratta di capire fino in fondo, e soprattutto di interiorizzare, che mai niente sarà uguale a prima. Non perché si voglia a tutti i costi dipingere uno scenario apocalittico e poi incolpare il capitalismo di questo, ma perché basta una notizia come quella del nuovo virus per farci tremare le gambe dalla paura. Chi sarebbe, dal punto di vista psicologico, in grado di sopportare una nuova quarantena? E da quello economico? I problemi di natura globale non sono solo legati ai virus; la crisi ecologica è probabilmente molto più grave e richiede una coordinazione internazionale ancora più abile e lungimirante, senza contare le varie calamità naturali sempre più frequenti. Questo cosa ci deve far capire? Che società sempre più globalizzate richiedono inevitabilmente solidarietà sempre più strutturate: non si tratta però della solidarietà di facciata, buonista e umanitaria, ma di quella organizzata, pensata e soprattutto anteposta agli interessi economici del capitale. Žižek chiama questo spirito “nuovo comunismo”, ma lo si può chiamare in molti altri modi. Kant nella sua Pace Perpetua si muoveva nella stessa direzione e lo chiamava “illuminismo”. Abbiamo forse bisogno di un nuovo illuminismo?

www.micromega.net, 7 luglio 2020

 

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