Credo che “l’eccedenza di significato” del singolo giudice non esista. La gente incassa le notizie di episodi corruttivi che riguardano singoli giudici con la stessa tranquillità con cui contempla della frutta che si rivela avariata. Il problema si pone quando l’organizzazione giudiziaria nel suo complesso sembra discostarsi da quella ideale. Qui sì c’è un “eccesso di significato”, purtroppo indefinito, perché nessuno sa veramente come dovrebbe funzionare “l’organo di auto-governo della magistratura”. Ciò che sappiamo noi estranei è ciò che siamo venuto a sapere ora e nel 2019, e decisamene non ci piace: “Cricche, congreghe, giri di potere che hanno sbocco nel Csm”.
A guardar bene, esse sono la conseguenza del principio democratico, rappresentativo e assemblearistico. Una volta ammesse le correnti, e le elezioni che portano alla ribalta i rappresentanti delle correnti, scatta il principio non detto ma vigente che ciò che importa è di trovare un equilibrio tra le correnti. Della qualità dei suoi rappresentanti è semmai responsabile la singola corrente.
“Lo scandalo che abbiamo davanti agli occhi non sta tanto nel metodo, quanto nella collusione con interessi di politicanti e nella qualità degli accordi,” osserva Zagrebelsky, ma “il metodo” ha necessariamente la conseguenza che alle qualità personali si sostituisce l’appartenenza a un gruppo para-politico. Anche la formazione di personale specializzato nella ricerca ed esecuzione di accordi ha una sua logica…economica. Uno che ha contatti in tutta Italia può soddisfare le esigenze dei colleghi di tutta Italia. E siccome gli scambi non possono essere tutti simultanei, conviene alla natura di questi market-maker di poter durare per garantire l’esecuzione di scambi inter-temporali.
La prima linea difensiva di Bruti Liberati, Palamara, Cosimo Ferri, è stata che “così va il mondo”, e che non vi sia assolutamente nulla di cui vergognarsi: anzi, queste pratiche contrattuali e consensuali tra le correnti garantirebbero, se gestite da persone abili e responsabili come loro, non solo la massima soddisfazione delle pretese di tutti, ma la qualità delle nomine più importanti.
Che fare? Molti, Spataro, Zagrebelsky, Di Matteo, puntano sull’autoriforma morale dei magistrati, ma mi pare difficile sperare nel ravvedimento di persone lucidissime che ritengono di essere già dotate di saldi orientamenti etici. Pare difficile che Cosimo Ferri, maestro di ogni accordo “con i politicanti”, voglia auto-riformarsi. Sarebbe oltretutto ingiusto suppore che non sia convinto dell’eccellenza anche morale delle sue operazioni.
Temo che invocare una riforma morale sia un modo per evitare il problema. Resta l’alternativa del sorteggio e della rotazione. Ed è strano che i proponenti dell’inattuabile riforma morale la respingano in quanto disfattista. E’ probabile che sarebbe efficace nello smembrare la trama degli accordi abilmente intessuta dai nostri in decenni di paziente proficuo lavoro, di industriosa accumulazione di “capitale sociale”.
(*) Giacomo Costa, a lungo ordinario di economia monetaria e creditizia all’Università di Pisa, è economista, saggista e socio di Libertà e Giustizia.