TRATTARSI COME EGUALI

10 Luglio 2020

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Il Partito d’Azione, nato come braccio politico del liberalsocialismo, terminò la sua esperienza appena entrato nella competizione elettorale, dopo la Liberazione. Palmiro Togliatti lo liquidò come un esercito di generali senza truppe. Il paradosso è che il più grande partito comunista dell’occidente, forte di generali e di truppe, non resistette all’urto della politica parlamentare e come un Titanic si schiantò contro una società che era ormai saldamente ancorata ai diritti.

L’eguaglianza della classe non era riuscita a costruire una cultura politica e delle alleanze sociali solide abbastanza da renderla a tutti gli effetti un’eguaglianza democratica. Nel fallimento comunista si riflette la grandezza del socialismo liberale, che non ha seguito la sorte del Partito d’Azione e ha acquistato valore col tempo. Contrariamente alle filosofie idealiste degli anni ’40 che cercarono sintesi improbabili tra liberalismo e socialismo, Carlo Rosselli pensava che il significato di questa idea risiedesse proprio nella tensione tra i due termini.

Qui sta la ragione per la quale ancora oggi ne parliamo: il socialismo liberale non è l’ideologia di una classe e non cerca accomodamenti tra ideologie classiste. È semmai la cultura politica di una compiuta democrazia costituzionale. Rosselli, commentò Michael Walzer recensendo la prima edizione inglese di Liberal Socialism (1994) ha incapsulato in un ossimoro l’ambizione che dal Settecento guida i democratici moderni: fare dell’eguaglianza la condizione della libertà.

Qui la maestria di Rosselli (non unico in questa intuizione, ma certo il più lungimirante): il socialismo è nato dal tronco del liberalismo arricchendolo del valore dell’eguaglianza (senza la quale la libertà sarebbe privilegio) e ha fatto della dignità della persona il principio in relazione al quale ogni cittadino vede e condanna l’arbitrio, nella sfera economica come in quella politica.

Scriveva Rosselli nel 1930: «Il socialismo, in ultima analisi, è una filosofia della libertà» che ha armato i movimenti politici nel momento in cui ha voluto non solo denunciare l’ingiustizia ma anche cercare di opporvisi, sia quando l’ingiustizia era sfruttamento economico e povertà, sia quando era discriminazione contro i diversi e intolleranza per ragioni di pregiudizio e di dominio di una maggioranza.

La sua realizzazione più importante è avvenuta non con il socialismo di stato né con il nazionalismo illiberale, ma con il processo di scrittura delle costituzioni democratiche, una conquista difficile e non senza violenza con la quale donne e uomini ordinari si sono dati istituzioni con lo scopo di delineare politiche economiche e fiscali coerenti, edificare un sistema scolastico pubblico e un sistema di sicurezza sanitaria e sociale per tutti – insomma, per metter in atto le condizioni della loro cittadinanza.

Poco prima di essere trucidato da sicari prezzolati dal regime fascista, Rosselli aveva chiarito lucidamente che il socialismo liberale non era altro che il nome della democrazia del futuro. Benché senza la stessa probità analitica, la sua idea era simile a quella che negli anni ’70 John Rawls avrebbe tradotto in una teoria della giustizia: l’eguaglianza nella distribuzione dei diritti è un interesse comune a tutti noi, che valorizziamo e proteggiamo quando facciamo in modo che la politica sia attenta alle condizioni di svantaggio per correggerle mediante continui interventi pubblici, specifici e diversificati.

Trattarsi come eguali non significa essere ciechi alle differenze, come dice l’articolo 3 della nostra Costituzione. Nelle politiche sociali, l’eguaglianza dei liberi non è astratta e non è prerogativa di una classe o di un partito, anche se la sua interpretazione può essere più o meno restrittiva e quindi ispirare partiti liberisti o socialdemocratici. In questo senso il socialismo liberale non è un’ideologia con un fine specifico da raggiungere, ma la cultura politica dei cittadini democratici che sanno, anche istintivamente, che la diseguaglianza socio-economica che soffrono è ingiusta; una sfida che tiene in tensione le democrazie costituite.

La Repubblica, 7 luglio 2020

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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