Stavo percorrendo, l’estate scorsa, il Museo Archeologico Nazionale di Atene, quando d’improvviso ho notato una piccola statua, di circa sessanta centimetri, che appariva quasi incongrua, ai margini delle magniloquenti sculture di eroi, dèi, kore, atleti e chimere che affollavano la grande sala. Raffigura un bambino: ricoperto da una mantellina allacciata al collo, stringe al petto il suo cagnolino che, un po’ attonito e un po’ compiaciuto, sta appeso alle sue braccia, con le zampe penzoloni.
Nota anche con il soprannome di “The little Refugee”, è un’opera in marmo, riporta la didascalia, del periodo ellenistico, II secolo a.C., proveniente da Nyssa. Questa città dell’ Asia Minore, che faceva parte dell’impero seleucide, era all’epoca un fiorente centro culturale, disteso su due colline alle sponde di un torrente, affluente del Meandro: su un versante erano ospitati, a fianco dell’ Agorà, il Gerontikon, ovvero il Senato, dove è stata rinvenuta la statuina, quindi una grande biblioteca e un teatro per 12.000 persone, ravvivato da un fregio che illustrava le fasi della vita di Dioniso, nato secondo la leggenda a Nyssa, così come in molte altre località dedite alla coltivazione della vite; sulla collina antistante si affacciavano il Gymnasium e altre strutture per l’ educazione e la ricreazione dei giovani.
Gli scavi archeologici erano iniziati nei primi anni del Novecento, condotti dal German Archaelogical Institute e proseguiti da una squadra greca sotto la guida di K. Kourouniotes. Nel 1919 il Trattato di Sèvres, a conclusione della Prima Guerra Mondiale, assegnava al Protettorato Greco il governo temporaneo, per cinque anni, delle città poste sulla costa asiatica del mar Egeo, dove la popolazione greca era quella più numerosa tra le comunità, turche, ebree, armene e variamente composite, che vi risiedevano. Nondimeno, nel 1922 le truppe di Mustafa Kemal Ataturk conquistarono manu militari la regione. I Greci, espulsi, portarono con sé, ad Atene, la statuetta.
Nonostante la resa chiaramente realistica dei tratti, dei dettagli, della sua fisionomia, questa figura mostra il carattere di una singolare, tenace persistenza, che sembra sfidare il corso del tempo, oltrepassare il tempo indefinitamente; e la forza congenita, semplice e imprendibile, propria di una Urbild, di un’immagine originaria, che qui ha la portata di una massima universale e il soffio potente di un memento: “L’inerme, sconfinata fiducia, scolpita nel volto e nello sguardo terso del bambino, non può essere in alcun modo violata”. E, magari, è questa la mascotte che reca con sé anche l’augurio di un anno lunghissimo, profondamente nuovo. Non c’è scampo: proteggendo il nostro piccolo amico, proteggiamo noi stessi.
(*) L’autrice, socia di LeG Milano, è stata docente di Estetica, all’Accademia di Belle Arti di Brera.