Nando dalla Chiesa: Papà fu tradito, ora Palermo è cambiata

04 Settembre 2017

Palermo. «Era il ventennale dell’ assassinio di mio padre, ricordo che portai a Palermo mia figlia Dora, tornò a casa sconvolta per quella commemorazione così intrisa di retorica e ipocrisia. Gli anni successivi preferii ricordare papà a Milano o altrove, non volevo ritrovarmi in imbarazzo nel dover stringere mani che non avrei mai voluto stringere». Domani di anni ne saranno passati 35 e Nando, Rita e Simona dalla Chiesa, in via Isidoro Carini, dove anonime mani affissero il cartello “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”, si troveranno a stringere non più le mani di Totò Cuffaro, ma quelle del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del comandante generale dell’ Arma Tullio Del Sette.

«Oggi per fortuna il clima è cambiata e noi ritroviamo una città con la quale non abbiamo mai rescisso il nostro cordone ombelicale – dice Nando Dalla Chiesa – A Palermo ho fatto il liceo, mi sono sposato, è nato mio figlio, a Palermo è nata la mia tesi di laurea, la mia militanza politica nella Rete, il mio impegno civile, tutto questo ha costruito la mia professionalità. E certo Palermo mi ha tolto mio padre».

Nel ricordo dei figli di quella sera del 3 settembre 1982 non c’ è solo l’ orrore e il dolore per quella morte tanto temuta nei cento giorni di Carlo Alberto dalla Chiesa prefetto di Palermo. C’ è anche l’ amarezza per quella solitudine e per quel senso di estraneità che coinvolse a tutta la famiglia. Sentimenti ancora vibranti affidati al libro “Un papà con gli alamari” scritto da Simona, con Rita e Nando dalla Chiesa per le edizioni San Paolo.«Non sono mai stata avvertita della morte di mio padre. Eppure vivevo a Roma.

Ero vicina al Comando generale dei carabinieri, ma forse al Comando, in quel momento, c’ erano persone collegate con il “potere” che non amavano il generale Dalla Chiesa», ricorda Rita, che da un paio d’ anni ha deciso di comprare una casetta nella borgata marinara di Mondello. «Quella sera papà ed Emanuela (la giovane moglie uccisa con lui, ndr) avevano deciso di andare a mangiare a Mondello. Per questo ho voluto fortemente comprare casa qui. Lì doveva andare mio padre, non ce l’ hanno fatto arrivare. E allora mi sono detta: “Va bene, se non è arrivato mio padre, arrivo io”».

I figli del generale Dalla Chiesa la sera del 3 settembre seppero da altri, da amici, da colleghi, dalla Tv. Ebbero difficoltà persino ad arrivare a Palermo e non trovarono nessuno ad accoglierli. Simona fu avvertita da un’ amica: «C’ era chi aveva già deciso tutto senza nemmeno consultarci. Non ci avevano avvertito della loro tragica fine, hanno continuato ad ignorarci nel momento di effettuare scelte che avremmo dovuto assumere solo noi figli». Ma quella Palermo non era la Palermo che aveva segnato l’ infanzia, l’ adolescenza dei ragazzi Dalla Chiesa.

C’è un ricordo su tutti ancora molto vivo oggi nella mente di Nando: «È il volto di una signora, che riuscì a infilare la testa dal finestrino nella nostra macchina davanti alla chiesa il giorno del funerale di papà. Ci disse: “Non siamo stati noi palermitani, è stata Roma”».

Un “distinguo” che alla fine l’ ha avuta vinta sul dolore e sulla rabbia. «Quello che mi lega a questa città è un rapporto viscerale che inevitabilmente ha vissuto momenti di grande difficoltà dopo l’ assassinio di papà – dice Simona – Perché il solo pensiero che a Palermo c’ era chi aveva partecipato al delitto, ma anche chi aveva visto, chi sapeva, mi è stato per molto tempo intollerabile. Poi, con gli anni, ho ritrovato la mia Palermo, la città delle vacanze a casa dei miei nonni, del profumo di Mondello e delle brioche con il gelato. Ho sentito che la città aveva cominciato a reagire, ho ripensato a quei ragazzi a cui papà aveva parlato a scuola con tanto ardore. E’ questa la Palermo che noi abbiamo vissuto, l’ altra ce la siamo ritrovata improvvisamente davanti quella sera».

 

la Repubblica, 2 settembre

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