Ricordate l’allarme rosso per i magistrati in politica, fatto sommamente scandaloso diversamente dagli imputati & condannati? Ai primi dell’anno bastò che il pm in aspettativa Michele Emiliano, da due anni governatore della Puglia dopo due mandati da sindaco di Bari, minacciasse la scissione dal Pd e poi sfidasse Renzi alle primarie per scatenare la rivolta: se le guardie irrompono nel regno dei ladri dove andremo a finire, signora mia.
E giù un diluvio di proposte di legge, titoloni di giornaloni, dibattiti tv, vergini violate e Violante che si stracciavano le vesti, subbuglio al Csm con azioni disciplinari contro il putribondo Emiliano che offendeva Montesquieu e sdegnava i partiti dell’arco incostituzionale (quelli che hanno in Parlamento e al governo decine di magistrati). Poi, all’improvviso, silenzio di tomba: le elezioni si avvicinano, il Pd tenta (invano) di candidare Piero Grasso a governatore della Sicilia, FI offre (invano) un posto in lista a Carlo Nordio, e tutto va ben madama la marchesa.
Ora la sirena d’allarme torna a suonare perché i 5Stelle vorrebbero Nino Di Matteo ministro dell’Interno o della Giustizia del loro eventuale governo. Scandalo nazionale: la giudice Ferranti del Pd può presiedere la commissione Giustizia (inesauribile fucina di leggi scritte coi piedi) e il giudice Ferri di FI fare il viceministro della Giustizia dei governi Letta, Renzi e Gentiloni; ma Di Matteo non può neppure considerare l’ipotesi di entrare in un governo 5Stelle.
C’è chi può e chi non può: dipende dal magistrato e, soprattutto, dal partito. E se, dopo la politica, un magistrato torna in servizio (cosa mai vietata né in Italia, né in alcun’altra democrazia), dipende da cosa fa: se assolve i Vip o non li indaga proprio, vive tranquillo; se invece, come all’ex sottosegretario prodiano Sinisi, gli capita di far parte di un collegio di 3 giudici d’appello che condanna (come già 3 giudici di tribunale e poi 5 giudici di Cassazione) il futuro senatore forzista Minzolini per un peculato commesso da privato cittadino al Tg1, allora la sentenza è “politica” e non vale perché emessa da un giudice (su 11) “politicizzato”.
Intanto il Csm che vuole sanzionare Emiliano con 13 anni di ritardo e che da due non fa nulla al procuratore di Arezzo che indaga su Banca Etruria malgrado fosse consulente del governo Renzi, continua non solo a promuovere i magistrati che tornano dalla politica (il che è legittimo, almeno finché la legge non cambia). Ma pure a ritenere i loro trascorsi politici o governativi non un handicap, ma un titolo di merito che fa punteggio, a scapito di chi ha sempre e soltanto lavorato in toga.
È accaduto con Giovanni Ilarda, già assessore siciliano di Raffaele Lombardo (poi condannato in appello per voto di scambio politico-mafioso), dunque ora Pg di Trento. E sta per riaccadere con Lanfranco Tenaglia, ex deputato renziano Pd, prossimo presidente del Tribunale di Pordenone. È la logica dei “pacchetti” spartitorii fra membri laici e correnti togate, che ha provocato l’uscita della corrente di Davigo dalla giunta dell’Anm.
Ma non ci sono solo le toghe che si candidano o accettano incarichi di ministro, sottosegretario, assessore. Ci sono anche i “fuori ruolo” assisi su comode poltrone di nomina governativa assegnate non per concorso, ma per cooptazione diretta, in base all’“affidabilità” politica (non sono più i tempi di Falcone in via Arenula o di Caselli al Dap, personalità così forti da dettare la linea ai governi, anziché subirla). Per esempio Franco Lo Voi, nominato dal governo B. in Eurojust e poi preferito come procuratore di Palermo a candidati più titolati di lui, in barba a tutte le regole del Csm.
Il prossimo potrebbe essere Giovanni Melillo, già consigliere di Ciampi al Quirinale e poi (fino a tre mesi fa) capogabinetto del Guardasigilli Andrea Orlando, dunque favorito come capo della Procura di Napoli. Una procura cruciale: lì fu scoperto lo scandalo Consip dai pm Woodcock e Carrano, lì l’ultimo procuratore Colangelo fu prepensionato da un decreto Renzi-Orlando-Melillo che il governo s’era impegnato a correggere, per poi rimangiarsi tutto. In commissione Melillo (Area, corrente di sinistra) ha avuto 3 voti e così Federico Cafiero De Raho (Unicost, centro), procuratore di Reggio Calabria, che ha sempre fatto il pm anti-camorra/’ndrangheta.
Pd e centrodestra, in una mirabile versione giudiziaria del Patto del Nazareno, stanno tutti col progressista Melillo (come i capi della Cassazione, salvati dalla pensione da un’altra legge ad personas Renzi-Orlando-Melillo). Tuonano contro le toghe “politicizzate”, ma temono solo quelle indipendenti: anzi, se non sono politicizzate (da loro) non le vogliono. E Area, che fino all’altroieri sponsorizzava la legge per interporre almeno un anno di “decantazione” fra incarichi governativi e giudiziari, fa finta di nulla. Giovanni Legnini, già sottosegretario di Renzi e ora vicepresidente del Csm, per nascondere l’ennesimo scandalo dietro un voto unanime propone un bell’inciucio: Melillo va a Napoli e De Raho si ritira, per essere risarcito con la Procura nazionale antimafia.
E perché non il contrario, visto che la Dna non ha poteri d’indagine, ma solo di coordinamento? Melillo, come De Raho, è un magistrato perbene e preparato. Ma spedire a Napoli l’ex capogabinetto del ministro sarebbe un commissariamento politico. E un segnale devastante, l’ennesimo, per tutti i magistrati: spaccarsi la schiena a scrivere sentenze e a fare indagini non conviene; molto meglio coltivare amicizie e relazioni politiche. Nemmeno Mussolini era riuscito a manomettere così spudoratamente l’indipendenza della magistratura. Ma oggi, com’è noto, il fascismo è sulle spiagge di Chioggia e sull’obelisco del Foro Italico.
il Fatto Quotidiano, 15 Luglio 2017