La politica crociana dell’«accadimento»
Per intendere con chiarezza il senso politico che Croce attribuisce al liberalismo, non si possono sottovalutare alcune note scritte nel ‘43 in occasione della riproposizione del partito Liberale, rifondato da lui stesso.
Questo partito deve svolgere una funzione «metodologica» e rivelarsi addirittura un «pre-partito»[1] con l’obiettivo di garantire, promuovere e far rispettare la libertà. Esso deve rigettare quelle etichette empiriche che abbondano in altri soggetti politici. Continuerà a chiamarsi «partito Liberale» e a rifiutare di compilare programmi generali perché, oltre al controllo etico, non può sostenere a priori azioni economiche di qualsivoglia portata, ma è sempre pronto, scrive Croce, a discutere e dialogare con altre anime ideologiche accettando persino anche la misura più radicale mai pensata prima, purché rispettosa dell’etica liberale: la «libertà della storia».
Questa prospettiva realista, sebbene condizionata da un profilo speculativo volto a coordinare spiritualmente la condotta partitica e l’impegno economico dei rispettivi protagonisti, si fonda su una spregiudicatezza immanentistica riluttante all’ideale dipinto nei cieli astratti dell’a priori.
Gli altri attori politici hanno il diritto di presentare un ideale pre-scelto, mentre il partito Liberale ha il dovere di rammentare a se stesso e soprattutto agli altri il richiamo al «buon senso»[2], a quel laico pragmatismo sollecitato dalle continue sorprese della vita.
Il suo partito, privo di contenuti perché questi ultimi, a suo dire, possono scaturire solo dagli imprevedibili contenuti del reale, rinnega l’ipotesi prescrittiva in chiave ideologica e si intreccia con l’originale variazione storicista preannunciata da Croce, diversi decenni prima, nei quattro volumi dello spirito.
L’impressione è che il nuovo partito Liberale voglia concedere troppo al giuoco dialettico della storia, preferendo attendere la conclusione delle esperienze sociali in corso[3], anziché rilanciare contro la contingenza e i fatti bruti delle proposte intenzionate magari ad «aggiustare» le imperfezioni del reale.
La risposta a questi dubbi è contenuta nella sua stessa impostazione filosofica. Il punto è che secondo Croce non vi deve essere nulla da riordinare, perché è proprio la Storia che «aggiusta» i procedimenti in fieri mediante quel ritmo provvidenzialistico che eccede la fugace predisposizione degli uomini.
Antoni divinizza, a suo modo, l’individuo, Croce divinizza la Storia. La Storia, per quest’ultimo, non è solo il movimento circolare dello spirito, ma è il percorso non deterministico di una Libertà sentita al maiuscolo.
La Libertà di Croce non si differenzia dalla raison dei philosophes sul piano della fede e del nesso trascendentale. Come la raison devegovernare il mondo attraverso lo strumento critico e analitico, la Libertà dello storicismo assoluto è un atto dogmatico, impossibile da rimuovere, anzi da approfondire grazie alla filosofia dell’«immanente» che dovrebbe limitarsi a confermare, nei suoi vividi accenti, la libertàdella Storia.
Il partito Liberale, dunque, non può intervenire sulla vita politica e sociale. Non può farlo in quanto l’individuo non può agire normativamente sulla Libertà dello spirito. Tocca alla Die List der Vernunft, o, appunto, all’«accadimento» produrre il contenuto storico. L’individuo contribuisce al festival dello spirito universale con le sue personali opere, ma non può stabilire nulla in ultima istanza: deciderà il Dio della Provvidenza al suo posto. Del resto, una qualunque opera è una piccola goccia rinvenibile nel vastissimo oceano della Storia, ed è sempre il trascendente, nella sua declinazione crociana, che immette un senso storico e spirituale nella determinazione del fatto compiuto.
Anche se la Storia dello spirito è guidata dalla legge provvidenziale dell’accadimento, rifugge, riferisce Croce, dal panlogismo hegeliano o dal paneconomicismo di Marx, in quanto la natura intrinseca dell’«accadimento» vuole eludere rispettivamente i rischi di una troppa «logica», come d’altro canto quelli derivabili dalla norma economica. Hegel, com’è noto, vuole esaurire la storia nell’Idea, Marx nella cancellazione delle classi. Lo spirito di Croce, inquadrato in una logica circolare, rifiuta la conclusione della Storia perché essa si nutre della Libertà.
La Libertà non è vissuta da Croce come un qualunque principio o norma da sottoporre al dominio della storia. La storia di Croce non può estinguere la Libertà, altrimenti cancellerebbe essa stessa. La Libertà dello spirito è dapprima una libertà «senz’altra determinazione», in quanto già vive nella Storia che si fa, dopodiché si «determina» entro le strutture categoriali dell’«immanente» che in Croce non possono variare.
Tra le quattro sfere si trova, come sopra indicato, la dimensione utilitaria della «politica». Ora, è chiaro che il partito Liberale di stampo crociano, nel momento in cui decide di entrare nell’arena politica, subisce questa impostazione teoretica. Perciò, anche il pragmatismo machiavelliano che fuoriesce da queste riflessioni, è il frutto di una logica meditata, è il frutto dello storicismo idealistico che riconduce la dimensione della politica al sistema governato dal nuovo Dio. La politica del partito Liberale non può inseguire un Sollen e neppure un qualunque modello ideologico volto a migliorare la vita. Si tratta di un partito che non vive poiché è vissuto dalla Storia.
L’unico compito politico che può permettersi è quello di consentire alla Storia di espletarsi in maniera ottimale, ovvero favorire di continuo il suo ingresso nel mondo dei fatti mediante la garanzia «costituzionale»[4] del concetto meta-etico della libertà. Preparare il sentiero entro cui il nuovo accadimento compie il suo slancio nel compimento delle singole opere. Ecco perché il partito Liberale deve essere un «pre-partito».
La consapevolezza, la responsabilità delle singole scelte è un qualcosa di accessorio. L’agenda della politica la detta curiosamente lo spirito assoluto, i cui strumenti (gli individui) si limiterebbero ad obbedire all’unica Volontà, magari promuovendo iniziative dal carattere costituzionale che rendano sempre più nitida l’atmosfera spirituale della Libertà. Un compito che, per Croce, dovrebbe spettare in modo prioritario al partito Liberale.
(*) Pubblichiamo per gentile concessione dell’autore e dell’editore il primo paragrafo dell’ultimo capitolo (intitolato Il partito liberale) del volume Carlo Antoni. Un filosofo liberista di Francesco Postorino, appena uscito da Rubbettino editore.
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[1] A. Jannazzo, Croce e il prepartito della cultura, Carucci, Roma 1987.
[2] Egli è diffidente nei confronti della componente illuministica e dottrinaria che «dominava la classe politica liberale»; infatti, «per Croce contavano di più, ai fini dell’avanzamento civile, gli uomini che “sanno fare” e non gli uomini che “sanno”», in A. Jannazzo, Il liberalismo italiano del Novecento. Da Giolitti a Malagodi, cit., p. 15.
[3] Calogero, ad esempio, ha discusso e stigmatizzato l’idea crociana di una storiografia che «non può sorgere se non dopo che la storia ha concluso il suo ciclo», rinviamo a G. Calogero, Croce filosofo, in Benedetto Croce (1866-1966), Acc. Naz. dei Lincei, Roma 1967, pp. 5-9.
[4] Sasso considera «singolare» l’approccio filosofico del partito Liberale crociano, il cui fine è quello di garantire l’egual libertà per tutti i partiti. E lo considera tale, poiché «l’idea che la ispira ha una strana consonanza con la concezione, proposta nel programma liberalsocialista, della Corte Costituzionale come del luogo in cui le forze politiche si impegnavano a rispettare la comune libertà e a non ammettere in quel club politico chi non avesse sottoscritto questo impegno»; egli è del parere che la differenza sta nel fatto che «il discorso azionista si svolgeva sul terreno giuridico-costituzionale, quello di Croce sul terreno politico; che era tuttavia, nello stesso tempo, metapolitico e alludeva a qualcosa che aveva il significato e il valore di una ferma garanzia», F. Postorino, Liberalismo e dialettica in Croce. Intervista a Gennaro Sasso, «Il rasoio di Occam» («Micromega»), 17 marzo 2016, p. 9.