Davigo presidente per un anno. I magistrati voltano pagina           

30 Marzo 2016

Liana Milella

Roma. Davigo presidente dell’ Anm. Il famoso “dottor Sottile” del pool Mani pulite di Milano al vertice del sindacato dei giudici, la famosa Associazione nazionale dei magistrati, nota per le battaglie contro Berlusconi, ma anche per le più recenti polemiche con Renzi per via dei tagli all’ età pensionabile e in quanto major sponsor della nuova legge sulla responsabilità civile delle toghe. Lui, Davigo, diventerà ufficialmente il capo dell’ Anm solo sabato 9 aprile, il giorno in cui è stato convocato il nuovo “parlamentino” composto dai 36 componenti eletti tra il 6 e l’ 8 marzo. Ma nelle febbrili trattative tra le correnti il suo nome ormai non viene più messo in discussione.

La ragione è semplice. Innanzitutto, come spiega chi sta partecipando a colloqui e telefonate, «perché Davigo è semplicemente Davigo», uno dei magistrati più famosi in Italia e nel mondo non solo per essere stato la mente giuridica del pool della Tangentopoli capostipite, quella di Milano, ma anche per aver continuato a studiare il fenomeno della corruzione. Lo dimostrano i libri che ha scritto, le interviste, le conferenze tenute in Italia ma anche nel mondo. L’ ultima a Pasqua in Brasile.
Toga pronta alla battuta sferzante, con la rara capacità di tradurre con esempi facili e storielle complessi concetti finanziari. Un cane mastino per chi, in un prossimo futuro, lo avrà come interlocutore nelle trattative.
Fin qui il personaggio. Ma il suo “quid” sindacale adesso è un altro. Davigo è stato il concorrente più votato nelle elezioni per la nuova Anm dopo il lungo regno, ben quattro anni, del presidente Rodolfo Maria Sabelli (Unicost) e del segretario Maurizio Carbone (Area). Ha incassato 1.041 voti. Ha corso con la “sua” corrente, Autonomia e indipendenza, nata da una clamorosa rottura con Magistratura indipendente, il gruppo ultraconservatore della magistratura, che ha in Cosimo Maria Ferri, attuale sottosegretario alla Giustizia confermato da Renzi dopo la nomina con Letta e Cancellieri, il magistrato più noto e anche più votato quando si candidò al Csm (1.199 voti nel 2012).
Proprio la presenza di Ferri al governo e la certezza che, nonostante il suo ruolo politico continuasse a dettare legge dentro Mi, ha spinto Davigo e i suoi – toghe note come Marcello Maddalena, Antonio Patrono, Sebastiano Ardita, Alessandro Pepe, Fausto Cardella, Ignazio De Francisci, Aldo Morgigni – a mettersi in proprio. Questo ha scompaginato l’ assetto correntizio tradizionale assestato sulla centrista Unicost, la sinistra di Area, la destra di Mi. Gli elettori hanno dato i “voti”. Successo di Unicost con 13 seggi, insuccesso di Area che si ferma a 9, Mi tiene con 11 componenti, mentre Davigo piglia 6 consiglieri. La prima reazione è di ostracismo nei suoi confronti.
«Non diventerà mai presidente » si sente dire. Ma poi prende piede una riflessione più equilibrata. Si rispolvera una vecchia usanza dell’ Anm, quella di presidenze che duravano solo un anno su quattro e alla scadenza si cambiava, tradizione interrotta per via degli scontri con Berlusconi. Questo ha portato a ben 8 anni di presidenza Unicost, prima con Luca Palamara, segretario il pm di Roma Giuseppe Cascini, e poi con Sabelli.
Per ora Davigo conquista il vertice per un anno. Certo, i mal di pancia ci sono. Soprattutto perché si punta a una giunta unitaria, tutti corresponsabili, senza potersi giovare elettoralmente del ruolo di oppositori, come ha fatto Mi. È una condizione imprescindibile. In compenso Davigo, eletto presidente, potrà spendere la sua verve e la sua acclarata notorietà. Il Csm, dopo molti rifiuti, lo sta anche per nominare presidente di una delle sezioni della Cassazione.

La Repubblica, 30  marzo 2016    

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