Con sorprendente mancanza di tempismo è tornata alla ribalta ieri, veicolata al massimo livello, l’idea di affrontare il grave problema della condizione delle carceri in Italia con provvedimenti che cancellano i reati e\o le pene. Con l’immediata conseguenza che la condizione personale del condannato più famoso d’Italia, che era da poco tornata sullo sfondo del dibattito politico, con sollievo generale, è invece riemersa prepotentemente alla ribalta.
E condiziona inevitabilmente la discussione intorno ad un tema – la condizione appunto delle carceri italiane – che merita certamente autentica e non strumentale attenzione. Non sembra di poter condividere, tuttavia, né la scelta temporale né il merito dei rimedi proposti: come non ricordare, infatti, l’infausto precedente del governo Prodi nel 2006, i cui provvedimenti di clemenza – oltre a porre nel nulla il lavoro di anni di inquirenti e tribunali – lasciarono invariato il problema delle carceri?
Già allora si disse che si tratta di un problema che va affrontato mediante strumenti articolati e diversi, quali la depenalizzazione dei reati bagatellari, la predisposizione di rimedi alternativi al carcere per i reati minori, la costruzione di nuove carceri; senza di che si ritorna rapidamente nella situazione di sovraffollamento e inumanità che oggi viene lamentata.
Ma vi è di peggio: amnistia e indulto sono provvedimenti che, qualora destinati anche agli autori di gravi reati, feriscono profondamente le vittime degli episodi per cui vi sono state le condanne e si possono inoltre tradurre – come è puntualmente avvenuto nel 2006 – nella ripetizione dei reati medesimi, con grave danno per la collettività.
Assai più serio e rispettoso del destino dei carcerati e della vita dei cittadini appare dunque – anziché adottare misure estemporanee e di breve respiro quali quelle oggetto del recente “monito” – avviare un programma di riforme delle norme e delle strutture preposte all’espiazione delle pene, tali da dare risposte durature ed effettive al problema delle carceri, e dissipare le ombre che la singolare tempistica del “monito” getta sull’intera vicenda.
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