La forza delle cose

26 Febbraio 2013

Non è mai troppo tardi: nella attuale configurazione del Parlamento, il PD ha l’opportunità – l’unica proficua probabilmente – di dialogare con i numerosissimi rappresentanti del M5S per costruire un progetto di governo che li coinvolga, e con loro coinvolga in un impegno istituzionale di cambiamento gli elettori che li hanno votati.

Anche se è ancora presto per tentare valutazioni ponderate – o forse proprio per questo, per mettere giù le prime intuizioni di una giornata così importante – azzardo di seguito qualche commento “a botta calda” su quanto emerge dai risultati elettorali del Senato e della Camera.
La fotografia del paese che si va definendo mostra un rivolgimento profondo, a cominciare da alcuni dati: il primo è che sembra non esistere più, in Italia, una sinistra con marcate connotazioni ideologiche. Lo testimoniano i modestissimi risultati sia di Sel che di Rivoluzione Civile. Si tratta di un dato imprevisto: tanto è vero che il PD aveva puntato molto e difeso molto la propria alleanza con Sel, evidentemente fraintendendo la direzione che l’insoddisfazione per l’esistente avrebbe preso.
Il secondo dato significativo è che parimenti non esiste in Italia una destra “europea”: lo testimoniano, da un lato, il modesto risultato della Lista per Monti e, dall’altro e soprattutto, il risultato imponente – e del tutto imprevisto – della coalizione  guidata dal PDL. Nonostante il fallimento della gestione berlusconiana del paese, la debacle economica, la corruzione dilagante, il vergognoso livello culturale, la difesa aperta dell’illegalità, questa è la destra che riscuote i consensi di un terzo degli elettori italiani.
Molte cose restano da capire di questo voto: come mai la destra berlusconiana riscuota ancora tanti consensi nel paese, e specie al Nord, è un tema che deve improrogabilmente diventare oggetto di analisi serie. L’impressione è, da un lato,  che la cultura del PD sia percepita da molti elettori come non dissimile, in sostanza, da quella del PDL; dall’altro, che persista una componente in parte ideologica e in parte di convenienza che fa propendere l’elettorato verso la destra berlusconiana, a dispetto dei disastrosi esiti governativi che si possono addebitarle.
Il terzo e fondamentale dato che sconvolge il panorama politico del nostro paese è ovviamente il successo elettorale del Movimento 5 Stelle: un movimento che nasce e cresce senza un vero leader politico, circondato da una diffidenza esagerata, fatto oggetto – anziché di analisi e di comprensione – di anatemi e demonizzazione, e che raccoglie circa un quarto dei voti del paese, risultando addirittura in molte regioni il primo partito.
E’ inevitabile pensare che il deludente risultato del PD – che ha perso, a livello nazionale, milioni di voti – sia in rapporto con il successo del M5S: nel senso che quest’ultimo ha saputo raccogliere il profondo e diffuso desiderio di rinnovamento, della politica e del paese, che alberga in vaste fasce di elettori, dei quali moltissimi giovani, e che il PD ha clamorosamente mancato di interpretare.
E’ infatti evidente che il processo di rinnovamento all’interno del PD è rimasto allo stato embrionale, esplicitamente avversato e ostacolato da molti tra i  detentori del potere interno: basti pensare alle liste presentate alle elezioni, composte per la gran parte di funzionari del partito, e come tali mal digerite dall’elettorato. O a una campagna elettorale sotto tono, incoerente  sia nei contenuti che nelle prospettive politiche, apparentemente inconsapevole di cosa si agita nel paese: verrebbe da suggerire al PD di uscire dagli uffici e aggirarsi per le strade di notte, come il signore delle Mille e Una Notte, per vedere e sentire cosa dicono, sperano e fanno gli italiani.
Anziché tacciare il M5S di essere di destra, qualunquista, addirittura fascista, e liquidare così, con delle rimozioni, i temi che il Movimento 5 Stelle poneva all’attenzione del paese, il PD e molti organi di informazione meglio avrebbero fatto ad ascoltare e cercare di capire. E così cogliere – pur nella  diversità di alcune  posizioni – la presenza di molti temi condivisibili: primo fra tutti il richiamo alla nostra Costituzione ed il rifiuto di avventurarsi in sgangherate “riforme”, già respinte nel 2006 dalla grande maggioranza del paese. E ancora la difesa dell’ambiente, della scuola pubblica, di un reddito minimo per tutti.
Non è mai troppo tardi: nella attuale configurazione del Parlamento, il PD ha l’opportunità – l’unica proficua probabilmente – di dialogare con i numerosissimi rappresentanti del M5S per costruire un progetto di governo che li coinvolga, e con loro coinvolga in un impegno istituzionale di cambiamento gli elettori che li hanno votati. Né il M5S dovrebbe sottrarsi alle responsabilità che il risultato elettorale raggiunto indubbiamente pone sulle sue spalle: la responsabilità di contribuire a realizzare davvero, attraverso le istituzioni, quel cambiamento in nome del quale ha ottenuto il voto di tanti italiani.

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