Ai nostri parlamentari dovremmo regalare un orologio. Perché hanno perso la dimensione del tempo, e perché di tempo ormai non ce n’è più. Ma loro tergiversano sulle riforme possibili, schiacciano l’acceleratore su quelle impossibili. A cominciare dalle modifiche costituzionali, che richiedono una doppia delibera di Camera e Senato a intervallo non minore di tre mesi. C’è ancora questo tempo? No, c’è solo un temporale elettorale. Eppure non si contano le idee ricostituenti messe nero su bianco mentre va in bianco la legislatura. Anzi si contano: 17 proposte di revisione costituzionale depositate negli ultimi 60 giorni.
Anche da leader politici come Casini, Rutelli, Maroni. Anche dal governo, con la riforma della riforma regionale, presentata il 15 ottobre in Senato. D’altronde a ragionare di Regioni si perde la ragione. L’onorevole Galli vorrebbe istituire la Regione dei Laghi. Lanzillotta abolirebbe il Lazio. Costa cancellerebbe le Regioni a statuto speciale. Calderoli le sostituirebbe con quelle superspeciali. Mentre Lannutti, con Idv all’opposizione del gabinetto Monti, s’oppone alla poltrona dei senatori a vita, quella su cui per l’appunto siede il senatore-presidente.
Ma i fuochi d’artificio sono in programma stamattina, quando l’aula del Senato tornerà ad esercitarsi sull’elezione di una Costituente, nientepopodimeno. La prima recita è andata in scena lunedì, e avrebbe sollevato l’invidia di Ionesco, maestro del teatro dell’assurdo. C’era all’ordine del giorno la legge Sallusti sulla diffamazione: colpita e affondata, tanto per cambiare. Sicché il presidente Schifani, per impegnare il pomeriggio, ha anticipato la discussione su un disegno di legge approvato a spron battuto dalla commissione Affari costituzionali: ovvero il parto di un’Assemblea costituente, pardon, di una Commissione di 90 padri della patria, che dovrebbero riscrivere la II Parte della Costituzione. Dopo di che ha affidato la presidenza a Rosy Mauro, benché in aprile quest’ultima si fosse dimessa da vicario, in seguito allo scandalo Belsito.
Da qui s’apre la commedia. Perduca è contro, però vota a favore. Sbarbati sottolinea che questi altri 90 parlamentari servono a ridurre i parlamentari. Ceccanti chiede di votare per parti separate, la Mauro non capisce. Pardi non capisce quale emendamento sia posto in votazione, e non è il solo. La Mauro s’accorge di «una folla invisibile che vota» (testuale). Sempre Pardi osserva che questa nuova Commissione non avrà il potere d’elaborare testi autonomi: li riceverà dal Parlamento, che poi dovrà pure approvarli, sicché ciascun parlamentare otterrà un voto al quadrato. Rutelli apre il dibattito sulle incompatibilità, i più sostengono che potranno farne parte anche i membri delle Camere: il parlamentare al quadrato. Poi qualcuno chiede la verifica del numero legale, qualcun altro esige di verificare la verifica, amen.
Ma tutto sommato c’è un filo di coerenza in queste surreali discussioni. Difatti la XVI legislatura ormai all’epilogo ha cucinato i progetti più bislacchi e strampalati della nostra storia costituzionale: dalla proposta Malan, che intendeva correggere la Carta per obbligare il Parlamento a insediarsi il giovedì; a Cossiga, che avrebbe attribuito al capo dello Stato il potere di sciogliere la Corte costituzionale; e via via, l’elenco è più lungo d’un lenzuolo. Però adesso si è accorciato il tempo, e sarebbe bene dedicarlo a questioni un po’ più serie. Basta volerlo: in fondo, la legge sui figli naturali è stata varata in quattro e quattr’otto, ed è una buona legge.
E invece stop sulle Province, stop sulla delega fiscale, stop and go sulla legge elettorale, dove la Prima commissione del Senato viene convocata e sconvocata a giorni alterni. Ma forse almeno in questo caso c’è una spiegazione: Napolitano ha detto a chiare lettere che non scioglierà le Camere senza la riforma del Porcellum, loro la tengono chiusa a chiave nei cassetti, sperando così di rimanere in Parlamento a vita. E allora facciamo una colletta, regaliamogli un bell’orologio nuovo.