Nel sito di Libertà e Giustizia (https://libertaegiustizia.it) Gustavo Zagrebelsky ha iniziato una rubrica aperta ai navigatori, un Lessico del Populismo, e cioè un’analisi di quelle espressioni che una volta significavano una cosa, o niente, ma che nell’attuale temperie politica vengono usate con tutt’altra connotazione. Per non farla troppo difficile, passo subito alla prima voce del lessico, dovuta appunto a Zagrebelsky, “Mettere le mani nelle tasche degli italiani”.
È noto infatti che uno dei principali appelli che il nostro presidente del consiglio, instauratore dell’ormai cosiddetto “populismo mediatico”, rivolge al suo “popolo” è la constatazione che pagare le tasse è doloroso (il che è vero) e che chi ce le fa pagare è cattivo (il che non è vero, perché ogni Stato serio si appella al contributo dei cittadini); non solo, ma il presidente ha anche detto che, se le tasse ci paiono troppe, è scusabile e comprensibile evadere il fisco – e se qualcuno ritiene che questa cosa non l’abbia detta (perché sarebbe suo dovere morale e costituzionale dire il contrario), esistono le dovute registrazioni televisive (non le intercettazioni!). Per inciso Berlusconi ha anche proposto varie volte di abbassare le tasse, ma sciaguratamente non l’ha mai fatto. Bisogna però dargli atto di non averle alzate, specie in momenti come questo, quando bisognerebbe ricuperare denaro, e i sacrifici ha preferito farli fare agli statali (che secondo i sondaggi non votano per lui) piuttosto che a chi guadagna di più.
Come si fa allora a indurre la “gente” a pensare che chi fa pagare le tasse (non il governo attuale, certo, perché le tasse le hanno inventate gli altri, probabilmente i comunisti) commette un furto? Usando l’espressione “mettere le mani nelle tasche degli italiani” che, come dice Zagrebelsky “sottintende l’idea che imposte e tasse siano scippi e furti e che i governanti, chiedendo di partecipare alle spese pubbliche si comportino da delinquenti… Questa espressione è la negazione dell’idea di cittadinanza, che comprende diritti e doveri di solidarietà, secondo la legge. Essa infatti parla demagogicamente agli italiani e non democraticamente ai cittadini (italiani)”.
A seguito della proposta di Zagrebelsky, Sandra Bonsanti ha commentato “Condividere la memoria storica” e Giuseppe Volpe sia “Essere radicati nel territorio” che “Esporre alla gogna mediatica”. A pensarci bene quest’ultima abusatissima espressione non suonerebbe ingiusta quando venisse applicata a qualcuno che, perfettamente innocente, viene di colpo presentato dai giornali, per vendere copie, come il mostro da sbattere in prima pagina, e si pensi al dolorosissimo caso Tortora. Ma come viene usata oggi essa suona a sanzione dei casi in cui, di un uomo politico doverosamente si dice che ha commesso abusi e che per questo è diventato oggetto di una inchiesta della magistratura. Come dice Volpe, “una personalità integerrima se la ride di qualsiasi insinuazione o presunto fatto i media diffondano sul suo conto. Adirà le vie legali individualmente… non tanto per difendere se stesso quanto, colpendo il deviante, … per difendere la correttezza dell’informazione. Ma l’uomo integerrimo, appunto, colpisce il falsario, non invoca la mordacchia… Se questo non accade è forse, anche, perché uomini integerrimi ce ne sono troppo pochi? O è perché di falsari ce n’è troppi?”.
Maria Grimaldi analizza l’ormai storico “Scendere in campo” ed Elisabetta Rubini “La magistratura vuole sovvertire il voto”, osservando che la frase viene usata, dagli esordi del berlusconismo, per censurare l’operato dei giudici quando le indagini riguardano il premier, “come se il voto superasse e rendesse superfluo – ed anzi addirittura inaudito – il ruolo di controllo svolto dalla magistratura nei confronti di tutti i cittadini… Da notare che con la frase in questione Berlusconi non critica i giudici per aver operato male: la censura si colloca a priori rispetto ad una valutazione della qualità del controllo giudiziario e mira a contrapporre il voto popolare – quasi una grazia divina – alla molesta interferenza dei giudici, presentata come illegittima e persino eversiva”.
Non ho più spazio. Mi piacerebbe analizzare ancora “Il presidente del consiglio non ha poteri” di Filippo di Robilant (che palesemente significa che il presidente del consiglio vorrebbe impadronirsi anche dei poteri che la Costituzione non gli consente), e alcuni primi interventi dei lettori. Così come amerei anche occuparmi di termini che a sinistra hanno avuto il loro significato letteralmente capovolto, come liberale, riformista, moderato, eccetera. Ma sarà per un’altra volta.