Una donna, madre di due figli, infermiera presso una ASL di Napoli si fa togliere il sangue per protestare contro il ritardo nel pagamento del suo stipendio. Il gesto di protesta viene filmato e trasmesso su You Tube e si ripete per tre giorni consecutivi. Dai giornali apprendiamo che alcuni colleghi hanno provato a dissuadere Mariarca da questa forma estrema di protesta, ma inutilmente. Alcuni giorni dopo la donna, tornata al lavoro, ha un malore e muore.
Questi gli scarni e tuttavia sconvolgenti dati che la cronaca ci consegna, insieme all’immagine di un volto giovanile e serio, nel momento in cui consente – o meglio richiede – che si infierisca sul suo corpo affinchè giunga all’opinione pubblica la sua disperata richiesta. Cosa ha chiesto Mariarca? Una cosa semplice, che in una società ordinata, retta da una Costituzione fondata sul lavoro, dovrebbe darsi per scontata: che fosse rispettato il suo diritto a vedersi corrisposto il compenso per il lavoro svolto. Una elementare richiesta di giustizia sociale, convogliata all’esterno con modalità ( e con esiti) che suscitano sgomento e pena infinita, ma anche molti inquietanti interrogativi. Colpisce anzitutto la natura solitaria della protesta di Mariarca, che si appella senza mediazioni alla vista e alla coscienza del pubblico. Si era abituati a pensare che un lavoratore, cui non venga pagato lo stipendio, si rivolga al sindacato o alla sezione di partito, ad una dimensione comunque collettiva e politica: nel gesto di Mariarca si esprime invece tragicamente l’assenza totale, oggi, di canali politici attraverso cui agire efficacemente la propria protesta. A fronte di tale vuoto, la forza simbolica del gesto di Mariarca è terribile: togliere lo stipendio onestamente guadagnato è come togliere il sangue, la vita, la legittimazione sociale, la prospettiva di un’esistenza dignitosa. E dunque questa protesta individuale ( e tuttavia universale, perché investe e comprende in sé tutti coloro che hanno visto leso il loro diritto ad essere rispettati nel lavoro) mette in scena e rende visibile l’aggressione che l’ingiustizia sociale infligge ai soggetti deboli, ne rende esplicito l’impatto concreto e devastante.
Nel gesto di Mariarca, nella sua consapevolezza si esprime un’altra scelta, tutt’altro che scontata: quella di non cercare la soluzione del suo problema per vie traverse, per raccomandazioni o amicizie, ma di gridarla e agirla apertamente e direttamente, come una rivendicazione che si sa essere giusta e si vuole venga conosciuta dagli altri come tale. E questa sottolineatura del proprio diritto leso e del proprio diritto a protestare fa tanto più male in quanto si colloca in una struttura pubblica e in una terra da tanto tempo governata dal centro-sinistra.
La drammatica richiesta di giustizia di Mariarca non deve restare inascoltata. E’ del tutto inaccettabile che l’esigenza di questa e molte altre persone nel nostro paese oggi non trovi espressione e protezione all’interno del discorso politico, troppo occupato a tutelare i suoi esponenti e le sue posizioni di potere, anziché i cittadini e i loro progetti di vita. E’ urgente che la politica, e quella di sinistra a maggior ragione, torni a manifestare attenzione, apertura e ascolto verso i gravi problemi sociali del paese e ad offrire ad essi una dimensione di espressione e di riscatto.
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