Si cominciano a calcolare i devastanti (e anticostituzionali) effetti della scandalosa legge varata l’altro giorno dalla Camera, e che già martedì prossimo va all’esame del Senato, in preventivo “esame” della commissione Giustizia. Insomma, l’ancor più scandaloso allargamento dei beneficiari della fuga dai processi a tutti i membri del governo è un ombrello anche per due ministri, due sino a questo momento, ma a naso la lista può allungarsi. Trattasi, per ora, dell’ex forzista Raffaele Fitto (Rapporti con le Regioni) e dell’ex aennino Altero Matteoli (Infrastrutture e Trasporti).
Lo scorso 11 dicembre Fitto è stato rinviato a giudizio per corruzione e illecito finanziamento ai partiti dal Gup del tribunale di Bari. Di queste pesanti accuse Fitto deve rispondere in concorso con il noto industriale delle cliniche private e dei giornali Giampaolo Angelucci. I reati sarebbero stati consumati quando il ministro era governatore della Puglia (e si dilettava a copiare i programmi elettorali di altri governatori della sua stessa pasta). Vero è che il processo non è ancora arrivato al dibattimento, ma quando sarà messo in calendario è già destinato a lunghe pause: e che? mancano forse a Fitto gli impegni anche solo “coessenziali” alle funzioni di governo che giustifichino la sua assenza e il blocco del procedimento? Tanto la giustificazione partirà, testuale in quella indecorosa legge, dalla stessa presidenza del Consiglio.
E il giudice deve limitarsi a “prenderne atto” senza minimamente discutere o valutare la fondatezza dell’impedimento.
Diversa la posizione di Matteoli, rinviato a giudizio per favoreggiamento dal tribunale di Livorno. L’accusa: avere informato nel 2005 l’allora prefetto di quella città (che rientra nel collegio elettorale del ministro) che c’erano indagini sul suo conto per l’inchiesta sul “mostro di Procchio”, un immondo complesso edilizio in costruzione a Marciana, Isola d’Elba. Vero è che un ricorso alla Corte costituzionale (già, dopo che il Tribunale dei ministri aveva escluso la “ministerialità” dell’accusa mossa a Matteoli) ha bloccato il procedimento grazie ad un conflitto di competenza fatto sollevare dallo stesso Matteoli e che richiede un pronunciamento (quando?) della Camera. Ma, ora, questo pronunciamento è del tutto superfluo: l’impegno prima di inaugurare un tratto autostradale e poi di partecipare ad un convegno saranno motivi di “impedimento” a presentarsi, se necessario, davanti al giudice.
Poi – anzi soprattutto – ci sono i casi in cui è coinvolto sino al collo lo stesso Berlusconi, cui non mancheranno i “legittimi impedimenti”. Ma le cose, se si semplificano per lui, si complicano non solo per i magistrati impegnati nei tre procedimenti a suo carico, ma anche per i coimputati. Cominciamo dal più delicato: il processo per corruzione in atti giudiziari che vede il Cavaliere ormai come unico imputato – il presunto corruttore – dopo la dura condanna del corrotto, l’avvocato inglese David Mills.
Per questo procedimento è fatta: per un anno e mezzo Berlusconi si può far scudo dei suoi tanti impegni: tanto è lui stesso a certificarne la legittimità. Ma ci sono altre due grane: i processi per i diritti tv Mediaset e per Mediatrade, che coinvolgono altri imputati. Il presidente del collegio del processo Mediaset ha già detto che “così non si può andare avanti” e che “saremo costretti a separare le posizione dell’imputato Berlusconi da quella degli altri imputati”. Ora Berlusconi si è sistemato, ma il venditore americano dei diritti non ha lo scudo….Come non ce lo hanno – nell’altro processo, il Mediatrade – suo figlio Piersilvio Berlusconi, e il capo esecutivo di Mediaset il Fedele (in tutti i sensi) Confalonieri, e gli altri imputati. Altro impedimento per Berlusconi-padre, altro probabile o inevitabile stralcio-separazione del procedimento per poter giudicare i coimputati. Il Cavaliere forse si morde le dita: ah, se Ghedini avesse pensato per tempo ad estendere i vantaggi dell’impedimento a familiari e fedeli collaboratori…
Per concludere, ai tanti dubbi manifestati sul Corriere della Sera da quel grande studioso del processo penale che è Vittorio Grevi aggiungiamoci oggi le certezze manifestate sulla Stampa del grande penalista Carlo Federico Grosso: con questa legge-vergogna, ragiona Grosso, “l’impedimento si trasforma in una immunità temporanea riconosciuta in ragione dalle funzione esercitata.
Ma allora nulla distingue nella sostanza tale istituto dalla sospensione dei processi delle alte cariche dello Stato stabilita con il lodo Alfano, bocciato dalla Corte costituzionale per violazione del principio secondo il quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge penale”. Di conseguenza, questo nuovo provvedimento “è, come altri che lo hanno preceduto, illegittimo da un punto di vista costituzionale e nel caso fosse definitivamente approvato subirà verosimilmente la medesima sorte (del lodo Alfano, ndr): approderà al Palazzo della Consulta e verrà annullato dalla Corte.”
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