La costruzione di un partito nuovo del centrosinistra è una risposta alla crisi del sistema politico italiano, che per essere risolta ha bisogno di aggregazioni più rappresentative e più coese. La frantumazione, infatti, toglie la forza necessaria per rimettere in carreggiata il sistema paese, delegittima i partiti e i loro gruppi dirigenti, rende difficile resistere alle lobbies più forti che hanno a cuore solo i propri immediati interessi.
Dalla crisi alla decadenza il passo è breve. Il crollo può essere determinato proprio dall’incapacità delle classi dirigenti di affrontare e risolvere i problemi che hanno portato alla crisi. Di qui la necessità di intervenire.
Le questioni riguardano tanto il sistema politico quanto il sistema istituzionale e sarebbe infantile tornare alla contesa che esplose negli anni Ottanta quando i socialisti insistevano sulla riforma istituzionale mentre i comunisti prediligevano la riforma del sistema politico e dell’etica pubblica. Non ci furono né l’una né l’altra e la Prima Repubblica andò a rotoli. Oggi come ieri la riforma istituzionale è necessaria, ma non basta. Occorrono anche la riforma del sistema politico e una nuova etica pubblica.
Per questa ragione il problema del cambiamento del sistema politico è all’ordine del giorno in entrambe le coalizioni.Noi ne abbiamo discusso ad Orvieto. Se ne discute nel centrodestra, anche lì con la prospettiva di un nuovo partito, più ampio degli attuali. L’estrema sinistra ha messo in campo un progetto di Sinistra Europea.
Fini ha proposto la trasformazione del suo partito in una forza che ambisce a guidare il centro destra e in questa prospettiva chiede l’ingresso nel Ppe.
Il mondo politico si rende conto che l’Italia va chiamata ad una riscossa civile, morale ed economica; ma è consapevole che la sua attuale configurazione lo rende inidoneo a questo compito. Perciò il problema non è solo il traguardo, ma anche il governo del percorso, che deve evitare tanto la demagogia volontaristica quanto il conservatorismo identitario.
È del tutto legittimo non essere d’accordo. Ma i compagni che non sono d’accordo dovrebbero proporre una strada alternativa per superare la crisi del sistema politico. Come ha detto Fassino, dovrà aprirsi in tutto il partito una discussione franca; aspra se necessario. Questa discussione deve riuscire a dare a noi stessi in questa specifica fase storica una funzione nazionale, un compito cioè che raccordi la nostra iniziativa ai bisogni del Paese.
Per questi motivi intendo sottolineare alcuni possibili temi di discussione.
1.Si deve partire non da noi, ma dallo stato del sistema politico e del sistema paese e conseguentemente dai nostri compiti in questa fase. C’è una crisi di rappresentatività dei partiti? Si sente la necessità di un appello al Paese, alle sue forze e alla sua dignità? Come si supera l’attuale frammentazione e come si guadagna la credibilità necessaria a richiamare tutti al comune destino e alla comune responsabilità? Se la risposta non è un partito nuovo quale può essere l’alternativa?
2.Ulivo e Partito democratico non sono la stessa cosa.
L’Ulivo esiste da circa 11 anni, il partito democratico non c’è. L’Ulivo nasce come alleanza di una gran parte delle forze democratiche e riformiste. Si è andato assottigliando fino a rappresentare nelle ultime elezioni politiche, e solo alla Camera, Ds e Margherita; ma nell’immagine collettiva e nell’esperienza pratica l’Ulivo ha una naturale capacità espansiva determinata proprio dal suo carattere originale. L’Ulivo, inoltre, ha una forza evocativa che il partito democratico non ha.
3.La fase costituente dev’essere aperta e progressiva. Ds e Margherita non esauriscono l’universo riformista italiano. Ci sono culture, partiti e tradizioni che vanno al di là di noi: i socialisti, i repubblicani, le liste civiche di centrosinistra, i partiti nuovi. Ci sono i cittadini che non hanno partecipato a nessuna esperienza politica e potrebbero essere spinti a farlo sulla base di una nuova proposta. A tutti costoro dovremmo rivolgerci nella fase di costruzione del nuovo partito, non dopo la sua definizione.
4.L’espressione «partito democratico» nell’esperienza italiana è insufficiente. Allude a qualcosa di generico e di indeterminato. Un partito di centro destra si chiama Democrazia Italiana e c’è stata nel passato una Democrazia Nazionale. Forse per questo quella parola si è sempre accompagnata ad altri aggettivi, «democratico cristiano», «socialdemocratico», «liberaldemocratico». Essere democratici non basta, nella nostra esperienza storica e politica, a caratterizzare un programma ed un’identità.
La cultura liberale è democratica, quella socialista e quella cattolica anche, ma ciascuna a modo suo. Per noi Ds, a torto o a ragione, l’espressione appare ostica perchè sembra svuotare l’ispirazione socialista dei nostri ideali e della nostra visione del mondo. Ed è anche per questo che la collocazione europea del partito nuovo diventa dirimente: noi non potremmo stare in un posto diverso da quello in cui stanno i socialisti europei.
5.«Per la democrazia» potrebbe essere una scritta nel simbolo dell’Ulivo che rende chiaro il progetto complessivo ed anche la necessità del confronto tra le varie componenti sui contenuti di questa democrazia. Non è una questione nominalistica; i nomi dei partiti sono lo specchio di ciò che essi intendono rappresentare e degli obbiettivi che intendono perseguire. Scoppola ci ha giustamente richiamato alla tremenda responsabilità delle parole.
6.I Ds e la Margherita sono partiti diversi. Pur avendo molte cose in comune, pur avendo dato vita a due gruppi unitari che funzionano bene tanto al Senato quanto alla Camera, pur governando insieme la grande maggioranza delle realtà amministrative e regionali italiane, restano due partiti diversi, nelle strutture interne, nei criteri di selezione dei gruppi dirigenti, nella cultura politica. La stessa cosa si può dire delle altre forze che, mi auguro, aderiranno alla costituente. Una efficace fusione tra diversi richiede tempo. Per questo è opportuno che in una prima fase i partiti aderiscano in quanto tali; ma bisognerà trovare il modo per coinvolgere anche cittadini che oggi non aderiscono a nessun partito.
7.Cominciamo a parlare anche degli obbiettivi.
Provo ad indicare, senza pretese, alcune parole d’ordine: dignità dello Stato, equità nelle politiche sociali, merito nella selezione della classe dirigente, integrazione delle generazioni, competitività del sistema-paese. E poi: Stato federale, Governo parlamentare, netta separazione tra interessi privati e pubbliche funzioni, magistratura responsabile e indipendente, legge elettorale maggioritaria o proporzionale, purchè capace di dar vita a due contrapposte coalizioni, una con i numeri per governare e l’altra con i poteri di controllo propri dell’opposizione nei paesi democratici.
8.Dobbiamo essere tutti disponibili ad ascoltare le ragioni degli altri ed esigere che gli altri ascoltino le nostre. Processi di questa portata richiedono umiltà, non arroganza; richiedono confronto, discussione e, se necessario, correzioni in corso d’opera.
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