Milano, il governo della città e le periferie

10 Gennaio 2006

Tre domande, su argomenti molto caldi, ai candidati sindaco di Milano dell’Unione. Il gruppo Governo del Territorio di LeG le ha poste a Davide Corritore, Bruno Ferrante, Dario Fo e Milly Moratti, nel corso di incontri pubblici o via mail. Compare anche Michele Sacerdoti, perché quando sono state formulate le domande era in lizza per le primarie dell’Unione. Ecco le risposte raccolte da Giancarlo Trigari, coordinatore del gruppo, con la collaborazione di Maria Grazia Maffina.Ringraziamo tutti i candidati e i loro staff per la collaborazione, in particolare per la tempestività delle risposte in un periodo molto delicato della campagna elettorale.Area metropolitana: chi governerà? L’area metropolitana è una autonomia riconosciuta dalla Costituzione e di evidente valore funzionale, specie a Milano, per l’organizzazione di servizi essenziali per i cittadini. Il suo (ci auguriamo) collega Penati si comporta già “come se” la Provincia fosse l’organo di governo metropolitano, nonostante nelle esperienze degli altri Paesi europei le metropoli siano suddivise in municipalità confrontabili con le nostre zone di decentramento amministrativo.Al di là del galateo istituzionale, considerando la particolarità del “caso Milano” e la condivisa esigenza di una gestione di scala metropolitana: chi governerà? In altri termini: conterà di più il peso economico del Comune di Milano o il sistema di reti infrastrutturali che la Provincia sta cercando di costituire?Le soluzioni in materia di traffico potrebbero già essere un interessante banco di prova.
Risposta di Davide CorritoreNel mondo esistono diverse soluzioni amministrative al problema delle infrastrutture e servizi dei grandi centri urbani policentrici.

Chiaramente, accanto al decentramento amministrativo che deve, anche a Milano, essere rafforzato (pensate a quanto sono peggiorate le mense delle scuole di Milano da quando si è deciso di accentrarne nuovamente la gestione), è importante che vi sia una visione di insieme che governi le grandi infrastrutture, prima di tutto i trasporti pubblici. Credo a questo proposito, sull’esempio delle grandi capitali europee, che il ruolo di guida, anche simbolica, non possa non spettare alla città da cui l’area metropolitana prende il nome. Milano e il suo comune non rappresentano solo uno snodo amministrativo che deve recuperare ed aumentare la sua efficienza, ma anche un riferimento geografico e simbolico delle comunità limitrofe che quotidianamente afferiscono alla città.
Risposta di Bruno FerranteLe aree metropolitane sono state previste da una legge del 1990. Ma non sono state mai realizzate. Il motivo vero della mancata attuazione di un livello di governo, riconosciuto dai più essenziale, è stato il dissenso sulla individuazione di chi tra il presidente della vecchia provincia e il sindaco del capoluogo – dovesse governare l’area metropolitana. Così si è giunti anno dopo anno, rinvio dopo rinvio, all’inserimento nella Costituzione del livello di governo metropolitano.La mia idea al riguardo è chiara. Vi sono in Italia troppi, eccessivi livelli di governo, che non favoriscono l’efficienza, la semplificazione delle procedure e la realizzazione del bisogno del cittadino.

Province, regioni. comuni circoscrizioni, aree metropolitane, comunità montane sono troppe per governare con semplicità e trasparenza. Costi elevati per la collettività e benefici risibili, anzi peggio.Bisogna partire da questo dato. Vanno eliminati gli enti inutili. Non si devono creare nuove province che servono solo ad alimentare un sistema clientelare, a retribuire altro personale politico e amministrativo e a rendere più complessa la macchina burocratica.Le aree metropolitane rappresentano però una vera esigenza. Vi sono problemi e servizi di territori complessi che non possono essere affrontati dai singoli comuni, ma occorre un livello più ampio di responsabilità. Basti pensare al traffico, all’inquinamento, alle infrastrutture, alla casa, all1immigrazione, allo stesso sviluppo urbanistico delle città.Allora, la mia opinione è che si devono eliminare g1i enti inutili e dare spazio alle nuove realtà, come, appunto, le aree metropolitane. Ho paura però che si incontreranno ancora le stesse difficoltà del passato. Province e comuni combatteranno tra di loro per non perdere spazi di competenze.A me personalmente stanno a cuore gli interessi dei cittadini e quindi sono disponibile a un sistema istituzionale che riduca spazi di competenza dei Comuni. D’altro canto, sono convinto che i comuni dovrebbero attuare un deciso decentramento di competenze verso le circoscrizioni che oggi poco o nulla possono fare. Creare delle piccole municipalità può essere un passo importante per rendere servizi più efficienti, per avvicinare le Istituzioni ai cittadini, per individuare con tempestività i bisogni del territorio, per favorire la partecipazione e per coinvolgere maggiormente i cittadini.Mentre a livello legislativo si discute e si discuterà su quale modello attuare, Milano può e dove anticipare i tempi realizzando concretamente l’area metropolitana, partendo dalle esigenze dei cittadini e individuando soluzioni condivise.

Si può creare subito un momento di collaborazione tra tutte le istituzioni individuando i problemi che vanno aggrediti e risolti da più istituzioni contemporaneamente. Si deve dare dimostrazione di buona volontà e soprattutto fare gli interessi veri dei cittadini.
Risposta di Dario FoUn grande urbanista del dopoguerra, Giuseppe De Finetti, pensava a Milano “dall’esterno e da lungi”. Il banco di prova sarà l’uso non speculativo degli scali ferroviari dismessi (Farini, Genova, Romana) per migliorare la qualità di vita dei cittadini e investendo nelle priorità del Sistema Ferroviario Regionale (Gronda ferroviaria Malpensa-Orio al Serio), anziché nel Secondo Passante.
Risposta di Milly MorattiPiù che decidere chi governerà, si tratta di decidere come si governeranno processi e problemi che legano strettamente i destini di Milano e di tutta l’area circostante.Sono ormai sempre più le questioni che non possono essere decise nell’ambito ristretto dei confini del comune e in alcuni casi nemmeno della provincia: le grandi funzioni, le politiche del trasporto pubblico, le infrastrutture, sono nodi cruciali per lo sviluppo dell’area milanese che necessitano di un livello decisionale metropolitano.Proprio per arrivare al più presto all’istituzione della città metropolitana e alla creazione di un vero decentramento cittadino che trasformi le zone in municipalità, che chi si candida al governo di Milano, deve battersi.
Risposta di Michele Sacerdoti (Quando abbiamo formulato le domande era in lizza per le primarie)Aderisco alla proposta del Comitato per la Città Metropolitana che propone la trasformazione della Provincia di Milano in città metropolitana, l’eliminazione del Comune di Milano e la trasformazione delle attuali circoscrizioni in municipalità.Per queste ultime sono favorevole ad una revisione del numero e dei confini per meglio favorire la partecipazione dei cittadini e la loro identificazione con la municipalità e l’aggregazione in un circondario di Milano per gestire i rapporti tra di loro e i servizi comuni.Il mantenimento del Comune di Milano nelle sue attuali dimensioni rende difficile un equilibrio di poteri con gli altri comuni, di dimensioni assai più piccole.Le decisioni in materia di traffico rendono indispensabile un ambito a livello metropolitano, con l’integrazione dell’Atm con il servizio di trasporto pubblico a livello provinciale, in modo da servire i cittadini a partire dal punto di partenza dei loro spostamenti, senza dover creare enormi parcheggi di corrispondenza a discapito della cintura verde di Milano.

Anche un sistema di tariffazione degli ingressi in città deve essere realizzato includendo i comuni di prima cintura, che altrimenti potrebbero adottare provvedimenti autonomi.La cosa importante è che le decisioni sull’area metropolitana non siano delegate ad aziende specifiche ma che ci sia una gestione pubblica con organismi eletti dagli abitanti.
Trasparenza delle politiche urbanisticheNon ritiene, pur nell’attuale criticità della finanza locale, che sarebbe opportuno introdurre un vincolo di destinazione per le risorse generate dalle trasformazioni urbanistiche? Si eviterebbe di disperdere un patrimonio e una serie di occasioni di riequilibrio urbanistico per pagare le spese correnti, si darebbe trasparenza al “contributo per la città” che le singole trasformazioni generano e forse il Comune avrebbe uno strumento in più per confrontarsi con gli operatori privati.
Risposta di Davide CorritoreSono d’accordo con il principio del vincolo di destinazione per molti settori di politiche pubbliche. Certamente d’accordo con questa proposta quindi. Ma lo stesso deve valere per i trasporti: dal traffico possono venire fondi per ampliare il parco dei mezzi pubblici (non inquinanti), dall’ICI maggiorata sulle grandi proprietà immobiliari possono venire fondi per una nuova politica pubblica dell’alloggio.
Risposta di Bruno FerranteSì, penso che sarebbe un esempio di buona amministrazione. Tuttavia, a mio avviso, vanno perseguiti due obiettivi.

Quello della trasparenza del bilancio del comune e quello della elasticità della spesa. Mi spiego. Non credo che il bilancio del comune sia oggi chiaramente leggibile e interpretabile. Lo è forse per pochi esperti e conoscitori della contabilità pubblica. Dovere del pubblico amministratore è invece quello di raccontare ai cittadini con lealtà, chiarezza e semplicità come si pensa di spendere i loro soldi e poi come sono stati spesi. Un gesto di questo genere favorirebbe il dialogo tra cittadini e istituzioni ed eliminerebbe tanti legittimi sospetti sull’uso che viene fatto del denaro pubblico. Le pubbliche amministrazioni devono affrontare molte situazioni urgenti e non prevedibili: vincolare del tutto le risorse può essere un limite difficile da superare. Detto questo, gli oneri di urbanizzazione è giusto che siano finalizzati a obiettivi chiari e predeterminati.
Risposta di Dario FoAssolutamente sì; il “dirottamento” di quelle risorse è “finanza creativa” di Tremonti per rendere sopportabili i tagli governativi alla spesa corrente a scapito della qualità di vita dei cittadini (vedi ex Fiera e Garibaldi-Repubblica). I prossimi interventi stiano nel Piano di Governo del Territorio, basato sulla sostenibilità ambientale ed equità fra gli operatori, anziché su accordi coi poteri forti.
Risposta di Milly MorattiNell’ultimo decennio le grandi trasformazioni non si sono rivelate un’opportunità per la città, ma solo per pochi, troppe volte grandi progetti sono stati calati sulla testa dei cittadini.

Credo che sia giunto il momento di sottrarre lo spazio pubblico ad una gestione meramente privatistica che spesso lo ha svenduto, e debba essere restituito alla collettività.
Risposta di Michele SacerdotiIl vincolo di destinazione dovrebbe esistere già ora, se non fosse per un’interpretazione estensiva delle norme della finanza locale.Il problema è che la monetizzazione degli standard adottata dal comune di Milano non consente l’acquisto o l’esproprio di aree adeguate in quanto le tariffe sono piuttosto basse. Ad esempio per il progetto Fiera la monetizzazione prevede un costo di 252 euro al mq, insufficiente a reperire aree nella stessa zona.Va pertanto aumentata la tariffa della monetizzazione (utilizzando la formula utilizzata dal Comune di Rho) e i ricavi vanno gestiti a livello di municipalità.La monetizzazione va comunque utilizzata nei casi effettivamente indispensabili, mentre normalmente gli standard dovrebbero essere reperiti nell’area di intervento. In tal caso le opere realizzate devono essere effettivamente utili per la città, lo loro progettazione deve essere sottoposta a gara e devono essere considerati gli effettivi costi di costruzione relativi alla offerta che vince le gara.
Città per i cittadiniCosa intende fare per “raffreddare” i prezzi (di vendita e di locazione) degli immobili residenziali?Ritiene cioè che esista uno spazio non tanto per un housing sociale, quanto per un diffuso accesso al mercato della casa anche nel centro della città.

Oggi solo i rentiers (quelli che il compianto Sylos Labini chiamava “i topi nel formaggio”) possono abitare a Milano, non certo le fasce di popolazione più giovane e dinamica che si trovano (peraltro) in condizioni di precariato non modificabile nel breve termine. Ricordiamo che nella New York di Bloomberg – e dei valori immobiliari più alti del pianeta – ci sono oltre un milione di contratti d’affitto a prezzi bloccati.
Risposta di Davide CorritoreHo proposto due misure precise perché a Milano possa allargarsi davvero l’accesso alla casa: condizione affinché la città torni a riempirsi di giovani famiglie e della loro energia vitale. La prima è una misura di breve periodo: è necessario incentivare i proprietari ad affittare case a prezzo ridotto, attraverso l’abbattimento dell’ICI sulle case stesse: così, sia affittuari che inquilini ne trarranno vantaggi. Allo stesso tempo, il Comune potrà recuperare i soldi alzando l’ICI sulle grandi proprietà immobiliariNel frattempo, il Comune dovrebbe chiamare cittadini ed enti sociali a partecipare a un fondo di investimento immobiliare da utilizzare per costruire abitazioni in aree pubbliche della città o in aree limitrofe. Così, mentre chi investe godrà del rendimento del fondo, chi ancora non possiede un’abitazione potrà affittare o comprare casa a un prezzo sensibilmente più basso dei prezzi di mercato.
Risposta di Bruno FerranteSono convinto che il comune può fare molto.

Sia perché ha leve dirette di intervento – si pensi alla politica urbanistica e a quella fiscale -, sia perché può promuovere iniziative e coinvolgere energie disponibili ad affrontare con senso di responsabilità un acuto problema sociale. Da prefetto, anni fa avevo posto il tema all’attenzione delle Istituzioni locali, delle forze sociali e di quelle produttive. Avevo registrato l’interesse, la disponibilità e l’attenzione di tutti. Sono stati avviati diversi progetti, regione, provincia e comuni hanno riflettuto sull’argomento, il mondo privato è pronto. Si tratta di percorrere una strada che passa dal coinvolgimento di molte amministrazioni comunali, da una sinergia con il privato, dal coraggio di scelte innovative e dalla forza con cui alcuni obiettivi si perseguono.
Risposta di Dario FoNelle grandi aree di trasformazione gli operatori privati producano quote significative a costi di vendita ed affitto moderati, come già fatto a Roma e Firenze. Produrre non “in perdita”, ma non solo per la domanda “opulenta”, a margini di guadagno “speculativi”. Per la fascia di cittadini più disagiati il Comune investa risorse proprie, con il contributo di costruzione oggi anch’esso “dirottato” in spese correnti.
Risposta di Milly MorattiL’emergenza casa rappresenta ormai da troppo tempo la prima preoccupazione dei milanesi. La rincorsa senza freni dei valori immobiliari e degli affitti costituisce una pesante ipoteca sullo sviluppo della città, sui progetti di vita di tanti nostri concittadini, soprattutto dei più giovani.


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