La Corte di Cassazione, nelle motivazioni della sentenza del 4 dicembre scorso, su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma, su un ricorso contro il diniego di uno status di protezione, in merito alla lista di paesi di origine sicuri, respinge le tesi del governo e riconosce il potere di disapplicazione del tribunale. Come riconosce la Corte (pag.6), la questione pregiudiziale veniva sollevata ” sia per il caso in cui il richiedente protezione internazionale invochi una circostanza attinente alla protezione internazionale (timore di persecuzione o danno grave), sostanzialmente contestando la natura sicura del paese di origine non su una base individuale, ma per rilievi d’ordine generale; sia per l’ipotesi in cui il richiedente non abbia contestato espressamente la legittimità dell’inclusione del suo paese di origine nella lista di quelli sicuri”.
Il campo della decisione della sentenza della Cassazione dello scorso 4 ottobre, si riferisce ai casi di ricorso contro decisioni delle Commissioni territoriali che negano il riconoscimento di uno status di protezione. Ma alcuni principi generali affermati, in particolare per quanto riguarda la connessione tra le procedure di asilo e le garanzie in materia di libertà personale, possono valere anche nei diversi casi di convalida dei provvedimenti di trattenimento amministrativo nelle procedure accelerate in frontiera, nelle quali è però evidente che il giudice della convalida non potrà avere il tempo per assolvere gli stessi poteri di cooperazione istruttoria che competono al giudice del tribunale in sede di ricorso contro un diniego
Le motivazioni della Corte escludono che il legislatore nazionale, nella individuazione dei paesi di origine sicuri, possa adottare criteri che risultino in contrasto con la Direttiva procedure 2013/32 dell’Unione europea. E tantomeno una lista di paesi di origine sicuri prevista con un atto interno a carattere amministrativo, come il decreto interministeriale del 7 maggio 2024, può limitare il potere/dovere di cooperazione istruttoria del giudice ed i diriti di difesa dei richiedenti asilo denegati, che hanno comunque diritto ad un ricorso effettivo. In ogni caso si deve verificare la possibile lesione del diritto di difesa dei richiedenti asilo alla luce degli articoli 24 della Costituzione e 47 della Carta dei diritti fondamentali UE, tenendo conto delle diverse caratteristiche e tempistiche del giudizio sulla convalida del trattenimento disposto dal questore, con riferimento ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti sicuri, sui quali dovrà ancora proninciarsi la Corte di Giutizia Ue su rinvio di diversi tribunali italiani, rispetto alla decisione sul ricorso contro il diniego pronunciato dalla Commissione territoriale di Roma, e sulla connessa richiesta di sospensiva, procedimento nel corso del quale il Tribunale di Roma aveva sollevato una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Cassazione.
Il successivo comunicato pubblicato dalla stessa Corte di Cassazione mette invece in rilievo, soprattutto, il ruolo del legislatore nazionale, rispetto al potere del giudice interno di disapplicare per contrarietà con il diritto dell’Unione europea l’atto amministrativo, in questo caso il riferimento era costituito dal Decreto interministeriale del 7 maggio 2024, ma riassume solo in parte il “Regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da paesi designati come sicuri” individuato dai giudici della Corte di Cassazione. Nelle 40 pagine di motivazioni della sentenza della Corte di cassazione del 4-19 dicembre, sul rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, in ordine al decreto interministeriale che individuava una lista di paesi di origine sicuri, si mette in evdenza piuttosto il principio gerarchico delle fonti normative, secondo cui un decreto interministeriale non puo’ derogare la normativa dell’Unione europea ed internazionale, come peraltro impone l’art.117 della Costituzione, che si richiama espressamente, e sembra ammettere al riguardo il potere di disapplicazione del giudice interno. Appare evidente come qualunque estrapolazione parziale di passaggi di una sentenza tanto complessa si presta a strumentalizzazioni, tanto che il governo sostiene che la sentenza conferma l’impostazione adottata dall’Avvocatura dello Stato nei ricorsi contro i decreti di non convalida del trattenimento di alcuni richiedenti asilo trasferiti ad ottobre scorso in Albania, mentre la maggior parte dei commentatori ha rilevato che la stessa sentenza riconosce il potere del giudice di disapplicare la norma interna, sia essa di fonte amministrativa o primaria (legge), in caso di contrasto con norme vincolanti del diritto dell’Unione europea, in forza del dettato dell’art.117 della Costituzione.
Occore ripetere anche a chi vuole difendere pregiudizialmente le tesi del governo che la sentenza della Cassazione si riferisce espressamente ad un quadro normativo anteriore alle novelle legislative confluite nel decreto legge 145/2024, poi convertito a dicembre nella legge 187/2024, e che riguarda il rinvio pregiudiziale di un tribunale su un caso di diniego di protezione dichiarato da una commissione territoriale, sulla quale il richiedente asilo aveva proposto ricorso.
Le motivazioni generali e le indicazione di metodo in punto di diritto adottate dalla Corte di cassazione rimangono tuttavia applicabili anche alla luce della più recente decretazione d’urgenza del legislatore interno, estremo tentativo di avviare le procedure accelerate “in frontiera” nei centri di detenzione in Albania. La questione del rispetto del sistema gerarchico delle fonti, e il riconoscimento dei poteri/doveri di cooperazione istruttoria del giudice interno, non mutano anche se la nuova legge 187/24, ha trasferito, dalle Sezioni specializzate per l’immigrazione dei Tribunali alle Corti di appello, la competenza a decidere sulle richieste di convalida del trattenimento amministrativo disposto dal questore nei confronti dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri e privi di documenti di identificazione. Semmai il controllo della giurisdizione dovrà essere tanto più rigoroso quanto emergeranno le disfunzioni che un tale trasferimento per decreto legge, da attuare nel giro di qualche settimana, potrà comportare su strutture e uffici giudiziari ancora scarsamente preparati ed in crisi di organico, con un immediato pregiudizio dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, a partire dalla effettività dei diritti di difesa, e dal diritto di accesso al territorio per la presentazione di una richiesta di asilo (art.10 Cost.).
A tale riguardo, la Corte di Cassazione, con passaggi che non trovano eco nello stringato comunicato sulla decisione, osserva (pag.7) come “Già nella sentenza n. 120 del 1967, la Corte costituzionale ebbe ad affermare che, nei giudizi riguardanti norme incidenti sulle libertà dello straniero, il parametro dell’art. 3 Cost. non va considerato isolatamente, bensì in connessione con l’art. 2 e con l’art. 10, secondo comma, Cost., il primo dei quali iconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell’uomo. Il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando si tratta di rispettare quei diritti fondamentali. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi mi- gratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritt che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani (Corte cost., sentenza n. 105 del 2001).
La Corte di Cassazione ribadisce tra le altre motivazioni che “Il giudice ordinario, soggetto soltanto alla legge, è il garante dell’effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo che fugge dal proprio Paese e, spinto dalle circostanze, cerca legittimamente protezione in Italia come nell’Unione europea.”(pag.10).
I rinnovati tentativi di avviare le procedure accelerate in frontiera in Albania, con riferimento ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri, soccorsi in acque internazionali da navi militari italiane, se di sesso maschile, di maggiore età e non vulnerabili, sollevano gravi dubbi sul rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza di fronte alla legge (art.3), di riconoscimento del diritto di asilo (art.10), di garanzie in materia della libertà personale (art.13) e di effettività dei diritti di difesa (art.24), basi dello Stato di diritto, e dunque della democrazia nel nostro paese.
Al di là delle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea attese nella primavera del prossimo anno, è su questo terreno che si dovrà misurare la risposta della giurisdizione interna, fino alla proposizione di questioni di legittimità costituzionale, ed è su questo stesso terreno che andranno sviluppate dall’avvocatura e dalle associazioni iniziative più incisive per garantire il diritto di asilo, un giusto processo e l’accesso effettivo ai diritti di difesa, in tutte le procedure accelerate in frontiera, oggi in territorio italiano, domani, se i centri di Shengjin e di Gjader saranno aperti, in Albania.
AGGIORNATO ALLE ORE 21 DI DOMENICA 22 DICEMBRE 2024
1. La Cassazione, nelle motivazioni della sentenza del 4 dicembre scorso, su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma, su un ricorso contro il diniego di uno status di protezione, in merito alla lista di paesi di origine sicuri, respinge le tesi del governo e riconosce il potere di disapplicazione del tribunale, con argomenti che potrebbero rimanere validi anche dopo il decreto legge 145/24, in ordine al dovere di “cooperazione istruttoria”, ex nunc, del giudice. Secondo quanto si riferisce in premessa della sentenza, “Il richiedente asilo aveva presentato ricorso avverso la decisione di diniego nstando per la sospensione del provvedimento reiettivo. Non aveva allegato ragioni specifiche relative alla sua persona, ma ha fatto riferimento al mutamento della situazione della Tunisia riguardante la generalità delle persone. In altri termini, non aveva allegato gravi e circostanziate ragioni riferibili alla propria condizione, ma ha sostenuto che alla luce di una serie di accadimenti, indicativi di una involuzione autoritaria, che interessano la generalità delle persone, la Tunisia non presenterebbe più i requisiti di permanenza all’interno della lista”.
Come riconosce la Corte di Cassazione (pag.6), la questione pregiudiziale veniva sollevata ” sia per il caso in cui il richiedente protezione internazionale invochi una circostanza attinente alla protezione internazionale (timore di persecuzione o danno grave), sostanzialmente contestando la natura sicura del paese di origine non su una base individuale, ma per rilievi d’ordine generale; sia per l’ipotesi in cui il richiedente non abbia contestato espressamente la legittimità dell’inclusione del suo paese di origine nella lista di quelli sicuri”.
A tale riguardo, la Corte di Cassazione, con passaggi che non trovano eco nello stringato comunicato sulla decisione, osserva (pag.7) come “Già nella sentenza n. 120 del 1967, la Corte costituzionale ebbe ad affermare che, nei giudizi riguardanti norme incidenti sulle li-
bertà dello straniero, il parametro dell’art. 3 Cost. non va considerato isolatamente, bensì in connessione con l’art. 2 e con l’art. 10, secondo comma, Cost., il primo dei quali iconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell’uomo. Il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando si tratta di rispettare quei diritti fondamentali. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi mi- gratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritt che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani (Corte cost., sentenza n. 105 del 2001).
Secondo le conclusioni della Corte pubblicate dopo ampia motivazione (pag. 39), “Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, se è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da paese designato come si curo, il giudice ordinario, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Inoltre, a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale”.
Il successivo comunicato pubblicato dalla Corte di Cassazione esalta invece il ruolo del legislatore nazionale, rispetto al potere del giudice interno di disapplicare per contrarietà con il diritto dell’Unione europea l’atto amministrativo, in questo caso il riferimento era costituito dal Decreto interministeriale del 7 maggio 2024, ma riassume solo in parte il “Regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da paesi designati come sicuri” individuato dai giudici della Corte di Cassazione. Secondo questo comunicato, “La Prima Sezione civile della Corte di cassazione, nel ribadire che il giudice ordinario è il garante dell’effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo, ha affermato che è riservata al circuito democratico della rappresentanza popolare la scelta politica di prevedere, in conformità della disciplina europea, un regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da paesi di origine designati come sicuri. Il giudice ordinario, quindi, non può sostituirsi al Ministro degli affari esteri. Non può neppure annullare con effetti erga omnes il decreto ministeriale. Può tuttavia, nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, in sede di esame completo ed ex nunc, valutare la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto, tenuto conto delle fonti istituzionali qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Inoltre, a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale.”
Il comunivato in questione sembra attingere soprattutto al passaggio della motivazione indicato con il punto 5 (pag.10), ma non tiene affatto in conto quanto si afferma al precedente punto 4 (sempre pag.10) secondo cui “Il giudice ordinario, soggetto soltanto alla legge, è il garante dell’effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo che fugge dal proprio Paese e, spinto dalle circostanze, cerca legittimamente protezione in Italia come nell’Unione europea.
Le controversie che vi si ricollegano sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la situazione giuridica soggettiva dello straniero che cerca asilo o invoca protezione umanitaria ha natura di diritto soggettivo, che va annoverato tra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall’art. 2 Cost., e non può essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, cui compete solo ’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano l’asilo o la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica,
essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato esclusivamente al legislatore (Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2022, n. 1390).
Al di là di quanto riassunto nel comunicato emerge dunque che i poteri del giudice in sede di valutazione dei presupposti per il riconoscimento di uno status di protezione non sono comprimibili, nelle singole decisioni che è chiamato ad assumere sui ricorsi contro i dinieghi, da provvedimenti di natura aministrativa, quale era, prima della entrata in vigore della legge 187/2024 contenente una lista di paesi di origine sicuri, il precedente decreto interministeriale del 7 maggio 2024, sulla base del quale il Tribunale di Roma aveva sollevato la questione pregiudiziale davanti alla Corte di Cassazione.
2. Nelle 40 pagine di motivazioni della sentenza della Corte di cassazione del 4-19 dicembre, sul rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, in ordine al decreto interministeriale che individuava una lista di paesi di origine sicuri, si afferma il principio gerarchico delle fonti normative, secondo cui un decreto interministeriale non puo’ derogare la normativa dell’Unione europea ed internazionale, come peraltro impone l’art.117 della Costituzione, che si richiama espressamente, e sembra ammettere al riguardo il potere di disapplicazione del giudice interno. Si rinvia tra le basi legali della sentenza (pag.11), all’allegato I della direttiva 2013/32/UE, secondo cui un paese di origine può essere considerato sicuro “se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite
nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano e degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Per effettuare tale valutazione – prosegue l’allegato I – “si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro lene europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15 paragrafo 2, di detta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di non-refoulement conformemente alla Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà”.
Nessuna parte delle motivazioni della Corte consente di ritenere che il legislatore nazionale, nella individuazione dei paesi di origine sicuri, possa adottare criteri che risultino in contrasto con la Direttiva procedure 2013/32 dell’Unione europea. E tantomeno una lista di paesi di origine sicuri prevista con un atto interno a carattere amministrativo, come il decreto interministeriale del 7 maggio 2024, può limitare il potere(dovere di cooperazione istruttoria del giudice ed i diriti di difesa dei richiedenti asilo denegati, che hanno comunque diritto ad un ricorso effettivo. Ma anche se la Corte richiama lo “ius superveniens” per limitare la portata temporale della sua decisione, la stessa considerazione sembra destinata a valere anche dopo la previsione della lista dei paesi di origine sicuri in un atto avente forza di legge, come si è verificato con il decreto legge n.145/2024, nel quale è confluito con emendamenti il successivo decreto legge n.158/2024, adesso convertito nella legge n.187/2024. Anche se Corte di Cassazione precisa (pag.17) in modo netto che “non è tema di questo rinvio pregiudiziale definire anche l’ambito del sindacato del giudice ordinario, investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale, a fronte di una designazione del paese di origine come sicuro ad opera della legge”, molte considerazioni che sviluppa tra le sue motivazioni possono trovare applicazione anche dopo l’entrata in vigore del nuovo elenco dei paesi di origine sicuri contenuto all’interno di un atto avente forza di legge. Così, ad esempio, quando si osserva (pag.19) che” l’indicazione di un paese quale sicuro, se consente di realizzare una più efficiente dismissione di domande di protezione internazionale, considerate ex ante strumentali, può comportare una rimodulazione in senso riduttivo delle garanzie individuali. Se ne ha conferma nel fatto che, tra le conseguenze per l’interessato la cui domanda è respinta sulla base dell’applicazione del concetto di paese di origine sicuro, vi è che, contrariamente a quanto previsto in caso di semplice rigetto, il richiedente asilo, in attesa dell’esito del suo ricorso avverso la decisione di rigetto della domanda, può non essere autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato membro in cui questa è stata presentata.
Queste considerazioni confermano il particolare campo di indagine affrontato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma che riguardava soltanto il caso di un ricorso contro un diniego per manifesta infondatezza adottato dalla competente Commissione territoriale, per il quale si chiedeva la sospensiva.
Occorre anche ricordare che la Sezione specializzata in immigrazione del Tribunale di Roma ha successivamente rimesso alla Corte di giustiziadell’Unione europea, con ordinanza n. 46690/2024 dell’11 novembre scorso, il caso diverso, e più recente, della convalida del trattenimento dei richiedenti asilo trattenuti nel centro di Gjader in Albania, senza arrivare alla disapplicazione della normativa nazionale sui paesi di origine sicuri, ma sospendendo il provvedimento di convalida del trattenimento in attesa della decisione dei giudici europei. Che ovviamente interverrà dopo che le misure limitative della libertà personale avranno avuto fine. Una circostanza che avrebbe potuto indurre alla disapplicazione della normativa interna, ritenuta in contrasto con il diritto dell’Unione europea.
Con una giurisprudenza costante, da settembre a novembre di quest’anno, con numerose ordinanze, il Tribunale di Catania ha invece negato la convalida di diversi provvedimenti questorili di trattenimento e ha disapplicato la normativa nazionale, anche successiva all’entrata in vigore del decreto legge n.158/2024, nella parte in cui si prevede che taluni paesi come l’Egitto e il Bangladesh siano qualificabili come paesi di origine sicuri. In questi casi i giudici hanno negato la convalida del trattenimento di richiedenti asilo provenienti da questi paesi di origine ritenuti per legge “sicuri”, senza alcun rinvio pregiudiziale alla Corte di giusitizia UE.
Si tratta quindi di valutare alla luce della nuova nornativa introdotta con il decreto legge 158/2024 (cd. paesi sicuri), poi confluito come emendamenti nel decreto legge n.145/2024, adesso convertito nella legge 187/2024, quali siano i margini di disapplicazione della normativa interna che risulti in contrasto con quanto previsto dal diritto dell’Unione europea, ed in particolare dalla Direttiva Procedure n.32/2013, con specifico e distinto riferimento a) ai ricorsi giurisdizionali contro i dinieghi pronunciati dalle Commissioni territoriali, nella maggior parte dei casi per manifesta infondatezza per la mera provenienza del richiedente da un paese di origine sicuro, b) ed alle procedure di convalida dei trattenimenti amministrativi nelle procedure accelerate in frontiera, che si dovrebbero svolgere anche nei centri in Albania,. Convalide che rientravano prima nella competenza dei tribunali con le sezioni specializzate, e che dal mese di gennaio 2025 dovrebbero essere trasferite alla competenza delle Corti di appello in composizione monocratica. Trasferimento di competenze che anche per ragioni organizzative si configura come una “missione impossibile” da realizzare in tempi tanto brevi, quasi quanto sembra ancora molto lontano l’effettivo trasferimento in Albania di migranti che, in pieno inverno, dovrebbero soccorsi in acque internazionali da navi militari italiane,sulle quali dovrebbero effettuarsi le prime attività di screening, sempre a condizione che si tratti di persone di sesso maschile, di maggiore età e provenienti da paesi di origine ritenuti sicuri.
3. a) La Corte di Cassazione con riguardo allo ius superveniens osserva (pag.14) come “Sia il decreto-legge n. 158 del 2024, sia la legge, n. 187 del 2024, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n. 145 del 2024 non sono applicabili, ratione temporis, nel giudizio principale dinanzi al Tribunale di Roma, per le ragioni già espresse, in occasione di altra vicenda di successione “normativa” nel tempo, in Cass., Sez. I, 11 novembre 2020, n. 25311. Con tale pronuncia, si è infatti statuito che, in tema di protezione internazionale, l’inserimento del paese di origine del richiedente nell’elenco dei paesi sicuri produce l’effetto di far gravare sul ricorrente l’onere di allegazione rinforzata in ordine alle ragioni soggettive o oggettive per le quali invece il paese non può considerarsi sicuro, soltanto per i ricorsi giurisdizionali presentati dopo l’entrata in vigore del decreto ministeriale 4 ottobre 2019, poiché i principi del giusto processo ostano al mutamento in corso di causa delle regole cui sono informati i detti oneri di allega- zione, Per la Corte di Cassazione rimane comunque “intatto per il giudice, a fronte del corretto adempimento di siffatti oneri, il potere-dovere di acquisire con ogni mezzo tutti gli elementi utili ad indagare sulla sussistenza dei presupposti della protezione internazionale”.
Questa osservazione della Corte delimita il campo della decisione, che si riferisce evdentemente ai casi di ricorso contro decisioni delle Commissioni territoriali che negano il riconoscimento di uno status di protezione. Alcuni principi generali affermati, in particolare per quanto riguarda la connessione tra le procedure di asilo e le garanzie in materia di libertà personale, possono tuttavia valere anche nei diversi casi di convalida dei provvedimenti di trattenimento amministrativo nelle procedure accelerate in frontiera, nelle quali è però evidente che il giudice della convalida non potrà avere il tempo per assolvere gli stessi poteri di cooperazione istruttoria che competono al giudice del tribunale in sede di ricorso contro un diniego. Anche in considerazione della difficoltà di esercitare i diritti di difesa, sia per la estrema rapidità dei tempi di ricorso e delle procedure di convalida, che non permette di raccogliere una idonea documentazione o di formulare circostanziate eccezioni da parte del richiedente asilo, o del suo avvocato, sia per la difficoltà di accedere ad una difesa effettiva, soprattutto nei casi, che rimangaono ancora ipotetici, in cui queste procedure dovessero svolgersi, ancora una volta, nei centri di detenzione ubicati in Albania.
4. La questione del rispetto del sistema gerarchico delle fonti, e il riconoscimento dei poteri/doveri di cooperazione istruttoria del giudice interno, alla luce di queste considerazioni, non mutano anche se la nuova legge 187/24, ha trasferito, dalle Sezioni specializzate per l’immigrazione dei Tribunali alle Corti di appello, la competenza a decidere sulle richieste di convalida del trattenimento amministrativo disposto dal questore nei confronti dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri e privi di documenti di identificazione. Semmai il controllo della giurisdizione dovrà essere tanto più rigoroso quanto emergeranno le disfunzioni che un tale trasferimento per decreto legge, da attuare nel giro di qualche settimana, potrà comportare su strutture e uffici giudiziari ancora scarsamente preparati ed in crisi di organico, con un immediato pregiudizio dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, a partire dalla effettività dei diritti di difesa, e dal diritto di accesso al territorio per la presentazione di una richiesta di asilo (art.10 Cost.).
A tale riguardo, la Corte di Cassazione, con passaggi che non trovano eco nello stringato comunicato sulla decisione, osserva (pag.7) come “Già nella sentenza n. 120 del 1967, la Corte costituzionale ebbe ad affermare che, nei giudizi riguardanti norme incidenti sulle li-
bertà dello straniero, il parametro dell’art. 3 Cost. non va considerato isolatamente, bensì in connessione con l’art. 2 e con l’art. 10, secondo comma, Cost., il primo dei quali iconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell’uomo. Il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando si tratta di rispettare quei diritti fondamentali. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi mi- gratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritt che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani (Corte cost., sentenza n. 105 del 2001).
5. La prevalenza della fonte normativa sovranazionale, ed il correlato potere di disapplicazione del giudice interno, già riconosciuto dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre scorso, che la Corte di Cassazione richiama espressamente anche con riferimento alle “eccezioni personali” o “per categorie di persone”, permane anche nei confronti dell’atto avente forza di legge, come prima si verificava in presenza di un atto amministrativo come il decreto interministeriale del 7 maggio 2024 che conteneva la lista dei paesi di origine sicuri. E questo stesso tipo di indagine non potrà essere precluso al giudice chiamato a convalidare il trattenimento, quando l’accertamento della provenienza da un paese di origine “sicuro” è un presupposto per l’avvio stesso della procedura accelerata in frontiera. In questi casi, nell’ambito dell’esercizio dei poteri istruttori del giudice si dovrebbe, prescindere da una specifica allegazione del richiedente asilo su particolari situazioni personali.
La Cassazione, recependo quanto osservato dall’Avvocata generale, (pag.21) “richiama la sentenza della Grande Sezione del 4 ottobre 2024, dopo aver premesso che la designazione del paese terzo come paese di origine sicuro costituisce uno degli elementi del fascicolo portati a conoscenza del giudice del rinvio e di cui quest’ultimo è chiamato a conoscere nell’ambito del ricorso avverso detta decisione, sottolinea che, in tali circostanze, anche se il ricorrente nel procedimento princi- pale non ha espressamente invocato, in quanto tale, la violazione delle norme della direttiva 2013/32/UE in punto di designazione, tale eventuale violazione costituisce un elemento di diritto che il giudice deve prendere in considerazione nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc”.Secondo la Corte di Cassazione (pag.22), “Dalla sentenza della Corte di giustizia discende, dunque, che il giudice dinanzi al quale sia contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale deve procedere all’esame completo e aggiornato del caso di specie. La verifica completa ed ex nunc incombente al giudice può riguardare anche gli aspetti procedurali di una domanda di protezione internazionale, fra i quali vi è la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, potendo siffatta designazione avere ripercussioni sulla procedura”.
Per la Corte di Cassazione (pag.25), “L’inserimento di un Paese nella lista di quelli sicuri non è un atto politico perché deriva dalla applicazione dei criteri individuati dalla direttiva europea 32/2013 e dalla normativa italiana che la recepisce”. e se“la nozione di paese di origine sicuro ha carattere giuridico“… “la presenza di un aspetto politico non può giustificare il ritrarsi del controllo giurisdizionale“. Non solo, ma “Nei giudizi di protezione internazionale, in altri termini, il giudice, avvalendosi dei poteri di cooperazione istruttoria, è tenuto ad effettuare una verifica aggiornata della situazione del paese di origine, dovendo giudicare sulla domanda di asilo alla luce delle condizioni di fatto sussistenti al momento della decisione. La necessità di una valutazione aggiornata non riguarda soltanto il merito della domanda di protezione internazionale, ma anche l’utilizzabilità della procedura prevista per i migranti provenienti da paesi sicuri. Se così non fosse, sarebbe vulnerato il significato più profondo dell’effettività della tutela garantita dal giudice ordinario quando sono in gioco diritti fondamentali che attengono al diritto di asilo e di protezione internazionale. La garanzia e la tutela di quei diritti non sono e non possono essere meramente cartolari”. Come ricorda la Corte, “La nozione di atto politico è di stretta interpretazione ed ha carattere eccezionale, atteso che il principio di giustiziabilità degli atti del pubblico potere costituisce un profilo fondante della Costituzione italiana (Cass., Sez. Un., 1° giugno 2023, n. 15601). L’inserimento di un Paese nella lista di quelli sicuri non è un atto politico, perché deriva dalla applicazione dei criteri individuati dagli artt. 36 e 37 e dall’allegato I della direttiva 2023/32/UE e dall’art. 2- bis del d.lgs. n. 25 del 2008”.
6. Se si vuole restare nell’ambito di una interpretazione costituzionalmente orientata si dovrebbe ritenere che anche se la lista dei paesi di origine sicuri è inclusa adesso in un atto per eccellenza “politico”, quale è la legge 187/2024, i margini di valutazione del giudice rispetto alla compatibilità della normativa interna, seppure elevata adesso al rango di norma primaria, con il corrispondente diritto dell’Unione europea, rimangono integri, anche se le decisioni dei giudici non possono travalicare il caso concreto al loro esame, fatto salvo l’intervento della Corte costituzionale.
Come ha riconosciuto in passato la Corte Costituzionale con la sentenza n.81 del 2012, “gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate”. E del resto l’art.117 della Costituzione impone anche al legislatore nazionale precisi limiti derivanti dalla normativa euro-unionale e dal diritto internazionale.
Sono principi di diritto che non potranno essere ignorati in futuro, neppure dai giudici che dovranno pronunciarsi nel processo penale Open Arms/Salvini., nel quale pure è venuta in rilievo la distinzione tra atti politici ed atti amministrativi.
7. La Corte di Cassazione cita tra le motivazioni della sua decisione, oltre alle Direttive europee, anche gli articoli 10, 11, 24, 113 e 117 della Costituzione, che pongono limiti precisi al legislatore nazionale e che non possono essere contraddetti neppure da “atti politici”, che la stessa Corte delimita a ipotesi in cui non vengono lesi i diritti fondamentali delle persone.
La Corte di Cassazione ribadisce tra le altre motivazioni che “Il giudice ordinario, soggetto soltanto alla legge, è il garante dell’effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo che fugge dal proprio Paese e, spinto dalle circostanze, cerca legittimamente protezione in Italia come nell’Unione europea.” Secondo la Corte, (pag.28) “Il giudice ordinario non si sostituisce al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale anche perché il giudice ordinario non può andare al di là di quanto rileva ai fini del pieno e completo esame del singolo caso in quella data controversia. L’accertamento giurisdizionale risponde, piuttosto, all’esigenza di verificare che il potere non sia stato esercitato arbitrariamente”,,,,.”Il giudice, dunque, non si sostituisce all’autorità governativa sconfinando nel fondo di una valutazione discrezionale a questa riservata, ma ha il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, nella parte in cui inserisce un certo paese di origin tra quelli sicuri, ove esso chiaramente contrasti con la normativa europea e nazionale vigente in materia, anche tenendo conto di informazioni sui paesi di origine aggiornate al momento della decisione, secondo i principi in tema di cooperazione istruttoria”.
Per la Corte di Cassazione, “la designazione del paese terzo come sicuro è rilevante se, ad esempio, il richiedente, nell’invocare una circostanza attinente alla protezione internazionale (timore di persecuzione o danno grave), sostanzialmente contesta che il paese di origine sia sicuro per rilievi d’ordine generale. In tal caso, le ragioni addotte a sostegno della domanda riguardano, non gravi motivi relativi a una sua situazione particolare, ma una situazione di ordine generale, concernente intere categorie di cittadini o zone di quel dato paese. Nell’orizzonte di attesa di un caso siffatto, per garantire al richie- dente un ricorso effettivo in ordine alla decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, la designazione come sicuro del paese di origine dello straniero riveste un carattere rilevante e decisivo nell’ambito della complessiva controversia”.
Per la Corte di Cassazione (pag.34), “il giudice ordinario, chiamato ad accertare – acquisendo dalla consultazione delle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, previa sottoposizione al contradditorio delle parti, gli elementi all’uopo rilevanti anche attraverso la cooperazione istruttoria – i presupposti della protezione nternazionale in capo al richiedente, ha un potere di accertamento che non può essere limitato dalla circostanza che uno Stato sia incluso nell’elenco di paesi da considerare sicuri sulla base di informazioni vagliate unicamente nella sede governativa”.
Si osserva ancora (pag. 34) come “Nei giudizi di protezione internazionale, in altri termini, il giudice, avvalendosi dei poteri di cooperazione istruttoria, è tenuto ad effettuare una verifica aggiornata della situazione del paese di origine, dovendo giudicare sulla domanda di asilo alla luce delle condizioni di atto sussistenti al momento della decisione. La necessità di una valutazione aggiornata non riguarda soltanto il merito della domanda di protezione internazionale, ma anche l’utilizzabilità della procedura prevista per i migranti provenienti da paesi sicuri.
Se così non fosse, sarebbe vulnerato il significato più profondo dell’effettività della tutela garantita dal giudice ordinario quando sono in gioco diritti fondamentali che attengono al diritto di asilo e di protezione internazionale. La garanzia e la tutela di quei diritti non sono e non possono essere meramente cartolari.“
8. Tra le motivazioni si inserisce (pag.35) una considerazione che va collocata nell’ambito della questione pregiudiziale relativa ad un ricorso contro un diniego sulla richiesta di protezione, e non ad una convalida del trattenimento amministrativo, quando si osserva che “In ogni caso, inoltre, affinché possa sorgere il dovere di cooperazione si appalesa pur sempre necessario l’assolvimento, da parte del richiedente, dell’onere di allegazione e di presentare una domanda che possa qualificarsi quale richiesta di protezione internazionale, in relazione ai fatti dedotti.” Si tratta di un passaggio che isolatamente considerato si potrebbe prestare a facili strumentalizzazioni.
Nelle successive motivazioni (pag.36) si osserva infatti che “, per garantire al richiedente un ricorso effettivo in ordine alla decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, la designazione come sicuro del paese di origine dello straniero riveste un carattere rilevante e decisivo nell’ambito della complessiva controversia. Il giudice ordinario deve allora poter esaminare la compatibilità, con la disciplina europea e nazionale, del decreto ministeriale, nella parte in cui designa quel paese terzo come sicuro, e rilevarne gli eventuali vizi, anche per un motivo diverso da quello dedotto originariamente dalla parte, essendo ciò necessario ai fini dell’accertamento del diritto invocato. In altri termini, il giudice ordinario, investito di una domanda di tale tenore, si trova al cospetto di un rapporto complesso tra il richiedente protezione e la pubblica amministrazione, da cui il diritto fondamentale è inciso. L’impatto del decreto ministeriale sui paesi sicuri sulla concreta tutelabilità del diritto invocato fa scattare il potere-dovere di disapplicare l’atto presupposto, sempre che ne sia riscontrato il contrasto con la normativa europea o con la pertinente disciplina legislativa nazionale.“
Quando invece il richiedente abbia addotto, a sostegno della domanda, “gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la [sua] situazione particolare”, come prevede il comma 5 dell’art. 2-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, in continuità con l’art. 36 della direttiva n. 2013/32/UE….Non si pone più un problema di rilevanza, e di conseguente disapplicazione, della valutazione governativa, perché, nella fase giurisdizionale conseguente all’impugnazione del diniego di protezione internazionale, con riguardo alla situazione personale del singolo, il potere-dovere del giudice è il pieno potere cognitorio, rafforzato sotto il profilo della cooperazione istruttoria, potendo il giudice addivenire a un completo accertamento, questa volta in fatto, della condizione soggettiva del richiedente, tale da integrare i gravi motivi. Pertanto, con riferimento al caso specifico, il giudice può sempre accertare, a prescindere dalla disapplicazione, ragioni di carattere individuale chedepongano per una situazione di insicurezza che caratterizza il singolo richiedente.
Si conclude quindi (pag.38) che “Nelle controversie in materia di riconoscimento della protezione, ai sensi dell’art. 35-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, anche nella fase cautelare, se il giudice accerta che il richiedente ha addotto gravi motivi per ritenere che quel paese non è sicuro per la sua situazione particolare, la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato non richiede, immancabilmente, la disapplicazione del decreto ministeriale, ben potendo avere rilevanza assorbente e decisiva, nel senso della concessione della tutela interinale, l’invocazione di elementi relativi alla persona o al gruppo sociale di appartenenza, tali da superare la presunzione relativa determinata dall’inserimento del
paese di origine nella lista.
9. b) Una valutazione più rigorosa della effettività dei diritti di difesa, da operare alla stregua dell’art.24 della Costituzione, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e degli articoli 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, dovrà essere operata nel diverso caso b) del ricorso alla lista dei paesi di origine sicuri per legittimare il trattenimento amministrativo immediato dei richiedenti asilo nelle procedure accelerate in frontiera, e dunque anche nei centri in Albania, salvo che questi siano in possesso di un documento di identità o di un passaporto. Ed è su questi casi, caratterizzati da una tempistica estremamente rapida, e quindi sui casi di mancata convalida del trattenimento da parte del Tribunale di Roma, che sarà chiamata a pronunciarsi la Corte di Giustizia dell’Unione europea, fermo restando il potere del giudice di disapplicare la norma interna in contrasto con la normativa euro-unionale, come già stabilito in diverse sentenze del Tribunale di Catania.
La sentenza della Corte di Cassazione sul rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma tratta argomenti diversi da quelli esposti dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione con una memoria a firma dei sostituti procuratori generali Luisa De Renzis e Anna Maria Soldi, sul ricorso per cassazione proposto dal governo contro le ordinanze dello stesso Tribunale di Roma che lo scorso ottobre non convalidavano il trattenimento amministrativo di alcuni richiedenti asilo presso il centro per i rimpatri (CPR) di Gjader in Albania. I poteri di cooperazione istruttoria riconosciuti al giudice nazionale dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 4 ottobre scorso, ed i diritti di difesa riconosciuti ai richiedenti asilo anche nel caso del trattenimento amministrativo, come nell’ambito del ricorso contro il diniego sulla richiesta di asilo, non vengono modificati dalla legge 187/2024, che rimane comunque in vigore come fonte normativa interna subordinata al diritto dell’Unione europea ed al dettato costituzionale.
10. La Procura generale della Cassazione ha formulato la richiesta di una sospensiva del procedimento avviato davanti lo stesso Tribunale di Roma, avente ad oggetto la mancata convalida dei primi trattenimenti di richiedenti asilo trasferiti lo scirso ottobre in Albania, in attesa di una decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea sulle questioni pregiudiziali già sollevate dai tribunali italiani che saranno discusse nell’udienza del 25 febbraio 2025, con procedura accelerata, ma con una decisione finale che non arriverà prima del mese di aprile del prossimo anno. Fino ad allora dovrebbero restare sospese le procedure accelerate in frontiera e i trasferimenti di richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri, di sesso mascile, maggiorenni e non vulnerabili, verso i centri albanesi, a meno di non incorrere in ulteriori rinvii alla Corte UE.
L’Avvocatura dello Stato, nel ricorso in Cassazione proposto contro la decisione del Tribunale di Roma, definita “errata ed ingiusta”, che con una ordinanza depositata il 18 ottobre scorso non convalidava il trattenimento di un cittadino bengalese nel centro per i rimpatri di Gjader in Albania, disposto dal questore di Roma con provvedimento del 16 ottobre, osservava a sua volta che il Tribunale di Roma avrebbe fatto “malgoverno delle norme che regolano la designazione di Paese di origine sicuro” e che avrebbe “travisato il contenuto e la portata della sentenza della Corte di Giustizia UE del 4 ottobre 2024”. Nel suo stringato ricorso in cassazione, l’Avvocatura dello Stato aggiunge che lo stesso Tribunale sarebbe incorso in un difetto di motivazione, in quanto il richiedente asilo non avrebbe invocato “gravi motivi” per ritenere non sicuro il proprio paese di origine, mentre il Tribunale non avrebbe valutato “il caso di specie”, limitandosi “a svolgere una serie di considerzioni astratte in diritto, senza confrontarsi con la fattispecie concreta e in particolare con l’appartenenza o meno del richiedente alla categoria di soggetti che risulterebbe “a rischio” nel paese di provenienza”.
Una parte di queste argomentazioni trovano eco in alcune posizioni dottrinali che tendono a ridurre la portata applicativa della sentenza della Corte di Giustizia UE del 4 ottobre scorso, affermando la necessità che i giudici tornino ad “occuparsi del caso concreto” e dunque a raccogliere elementi probatori addotti dai ricorrenti, anche nelle procedure di convalida del trattenimento amministrativo, per provare con una congrua motivazione “gravi motivi”, nei singoli casi, per escludere la provenienza da paesi di origine “sicuri”.
Per i giudici di Lussemburgo che si esprimono sulla necessaria verifica d’ufficio da parte del giudice sulla legittimità della designazione di un paese come sicuro, si sottolinea che il mancato rispetto dei criteri previsti dalla direttiva per la designazione, implicando anche gli aspetti procedurali della domanda, deve essere oggetto di un esame completo ed ex nunc da parte del giudice, che vi deve provvedere anche d’ufficio. La Corte UE aggiunge in proposito:“Ebbene, la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro rientra in tali aspetti procedurali delle domande di protezione internazionale in quanto, alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 48 a 50 della presente sentenza, siffatta designazione è atta a comportare ripercussioni sulla procedura di esame vertente su domande del genere.“(Punti 90 e 91).
E’ evidente come si cerchi, attraverso la designazione di un paese di origine “sicuro”, il trattenimento amministrativo, e la limitazione di diritti di difesa dei richiedenti asilo, e correlativamente del potere/dovere di cooperazione istruttoria del giudice, anche in assenza di eccezioni sollevate dai richiedenti asilo, di rendere più facile e veloce il rimpatrio forzato del richiedente asilo denegato. Come emerge anche dalle previsioni contenute nella Relazione tecnica allegata al Protocollo Italia-Albania nella quale si prevede che il 90 per cento dei richiedenti asilo trattenuti nel Centro di Gjader possa ricevere un diniego per manifesta infondatezza, e fatte salve le limitate ipotesi di un ricorso con effetti sospensivi, diventi quindi immediatamente assoggettabile ad una procedura di rimpatrio con accompagnamento forzato. Tutto questo non può applicarsi però in modo automatico, esclusivamente sulla base di una lista di paesi di origine sicuri, sia questa frutto di un decreto interministeriale, che di una legge ordinaria, alle procedure di convalida dei trattenimenti in frontiera, ed alle istanze di sospensiva dei dinieghi per manifesta infondatezza, dopo procedure accelerate in frontiera che hanno caratteristiche temporali di tale rapidità che un onere di allegazione ulteriore in capo al richiedente asilo, potrebbe tradursi nella negazione sostanziale del diritto di asilo e dei diritti di difesa.
I rinnovati tentativi di avviare le procedure accelerate in frontiera in Albania, con riferimento ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri, soccorsi in acque internazionali da navi militari italiane, se di sesso maschile, di maggiore età e non vulnerabili, sollevano gravi dubbi sul rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza di fronte alla legge (art.3), di riconoscimento del diritto di asilo (art.10), di garanzie in materia della libertà personale (art.13) e di effettività dei diritti di difesa (art.24), basi dello Stato di diritto, e dunque della democrazia nel nostro paese. Di certo la lista comune di paesi di origine sicuri che la presidente del Consiglio Meloni sollecita nelle riunioni del Consiglio europeo non arriverà a marzo, come annuncia a scopo propagandistico, se prima non partirà l’implementazione dei nuovi regolamenti e delle direttive previste dal Patto europeo sulla migrazione e l’asilo.
Al di là delle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea attese nella primavera del prossimo anno, è su questo terreno che si dovrà misurare la risposta della giurisdizione interna, fino alla proposizione di questioni di legittimità costituzionale, ed è su questo stesso terreno che andranno sviluppate dall’avvocatura e dalle associazioni iniziative più incisive per garantire il diritto di asilo, un giusto processo e l’accesso effettivo ai diritti di difesa, in tutte le procedure accelerate in frontiera, oggi in territorio italiano, domani, se i centri di Shengjin e di Gjader saranno aperti, in Albania.