Come si sa, le elezioni regionali liguri del 27 e 28 ottobre hanno segnato la sorprendente sconfitta del centro-sinistra, in un contesto in cui la precedente giunta regionale, di parte avversa, è stata travolta da scandali e procedimenti penali. Ancora più grave, se possibile, è stato il livello dell’astensionismo, superiore alla metà degli aventi diritto al voto.
Sono state proposte numerose letture del disastroso risultato, alcune tese a sminuirne l’impatto, in particolare alla luce del fatto che il PD, principale partito della coalizione di centro-sinistra, ha ricevuto circa il 28 % dei consensi, divenendo il primo partito in Regione. Questo dato trascura il fatto che il 28% del 45% (tale è stata l’affluenza) si traduce nel 12,6% degli elettori: non pare ci sia di che gioire.
E qui emerge la prima e decisiva carenza della campagna elettorale del centro-sinistra, che è stata del tutto inadeguata sotto il profilo della capillarità e della efficacia.
Che esista un collaudato e resiliente sistema di potere della destra in Liguria era un dato noto; come ha esemplarmente commentato l’imprenditore Spinelli, il nuovo presidente della Regione Liguria “continuerà il lavoro”. Altrettanto conosciuto era il dato relativo alla astensione nelle precedenti tornate elettorali. Per contrastare la forza dei legami di interessi, da un lato, e la rassegnazione e sfiducia, dall’altro, sarebbe stato necessario mettere in moto una organizzazione diffusa e ben motivata, utilizzare efficacemente il web, cercare i voti porta a porta, mobilitare le associazioni e i giovani che, purtroppo, non hanno votato nella misura di uno sbalorditivo 65%.
La campagna elettorale del centro-sinistra alla quale abbiamo assistito è stata invece debole e male organizzata; debole nei messaggi e arcaica negli strumenti (cartelloni, comizi).
A ciò si è aggiunta la follia (non mi riesce di trovare un altro termine) dei Cinque Stelle, i quali hanno per un verso presentato un candidato di disturbo che ha raccolto qualche migliaio di voti sottraendoli alla coalizione della quale pure facevano parte; e per altro verso non sono andati a votare, sabotando così l’esito della loro stessa scelta di campo. C’è addirittura chi, tra i Cinque Stelle, rivendica queste scelte, in quanto il candidato Andrea Orlando non avrebbe dato sufficienti “segnali di discontinuità”. Sfugge evidentemente che le scelte dei Cinque Stelle hanno contribuito, in misura probabilmente decisiva, a garantire la continuità della giunta Toti.
Non basta: autorevoli esponenti dei Cinque Stelle rivendicano l’astensione anche in nome della presunta esigenza di “ridarsi una identità” e di non essere al traino del PD. Motivazioni, come si vede, tutte autoriferite, che nei fatti si sono tradotte nella permanenza al potere della destra e del suo sistema di interessi. A ben vedere, si tratta di scelte e giustificazioni che manifestano un totale disprezzo per le condizioni di vita e le aspirazioni dei cittadini liguri, che a questa destra continueranno ad essere soggetti.
C’è da sperare che le debolezze e le contraddizioni di PD e Cinque Stelle non si replicheranno nella campagna elettorale per il nuovo sindaco di Genova.