La politica e la guerra: sul realismo e l’idealismo del voto

08 Giugno 2024

Roberta De Monticelli Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Questo è solo un sospiro filosofico. Forse un singhiozzo. Metodologico. Ma chiede ascolto. Soprattutto dagli amici. La domanda è: perché un elettore dovrebbe essere “realista”? Con questo termine, solitamente si intende l’una o l’altra di queste accezioni: 1) Non buttare via il tuo voto; 2) Non si vota per i principi e gli ideali, ma per influire sulla realtà; 3) Le anime belle sono degli irresponsabili; 4) Devi avere una visione strategica, una visione meramente ideale è troppo comoda; 5) Di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno. 

La sola prescrizione alla quale la mia risposta è debole, anche ai miei occhi, è la prima. E può darsi sia quella decisiva, capisco bene chi la seguirà. Anche se i sondaggi sono predittivi, ma non profetici. E non sta scritto da nessuna parte che non ci siano grandi sommovimenti sotto i nostri piedi e nelle nostre anime: lì i sondaggi non bastano, ci vorrebbero i profeti. Il fatto è che i profeti, per definizione, non li ascolta nessuno in patria. Ed è questa la cosa più stupefacente. Siamo seduti sulle basi americane, in questo paese, siamo certi che in caso di guerra mondiale il campo di battaglia sarebbe qui o appena più in là in Europa, e sentiamo far campagna elettorale sugli spiccioli da regalare in giro e i condoni, oppure (vergognosamente) sui CPR da costruire in Albania. E vogliamo premiarli, i partiti che distraggono lo sguardo dall’orrore planetario che avanza?

Le prescrizioni 2-5 dicono suppergiù la stessa cosa, tutte. Mi è successo tante volte di notare che se c’è una cosa che definisce lo spirito – le idee, l’etica, iddio, il bello, il giusto – è che queste cose  ravvivano, risvegliano, incendiano perfino. Lo diceva meglio il prete una volta: “salirò all’altare di dio – di dio che ravviva la mia giovinezza”. Che l’allieta. Sì, le idee hanno un potere felicitante, e si constata spesso che solo il felice è buono. Buono a tutto: perfino a far politica meglio dell’infelice, che diventa timoroso e confuso. Tante volte mi è accaduto di notarlo: che senza il respiro dell’alto la democrazia muore asfissiata nel conflitto degli interessi economici e nazionali, smette di motivare la giovinezza, e perde la sua essenza, che è di rinnovarsi ogni giorno dalle sue fonti etiche: non c’è speranza di futuro senza respiro delle idee, del giusto, del bello – o magari, semplicemente, senza il rispetto dell’umanità, oggi piuttosto sfigurata in noi, in tutti noi, che facciamo colazione e andiamo a letto senza batter ciglio alla visione della carne umana schizzata a mucchietti sanguinolenti fra le macerie delle scuole bombardate, a un paio d’ore d’aereo da qui. E soprattutto senza amore del vero: e veri non sono solo i fatti, veri sono i principi, se sono solidamente fondati e infinitamente verificabili o rivedibili. Un principio, oggi, è che la guerra è l’equivalente penale internazionale dell’omicidio. Luigi Ferrajoli e il diritto internazionale specificano: la guerra d’aggressione.  Ma forse oggi dobbiamo lasciare cadere la restrizione, per come sono fatte ormai le guerre, e per la sopravvenuta incapacità delle elites dirigenti a definire i loro fini, e quindi i loro  limiti.

D’altra parte se lasciamo cadere questa restrizione cade la dottrina della guerra giusta. Io parlo agli amici, ma vergogna discenda su chi ci ha fatto credere che la logica amico-nemico fosse l’essenza della politica, la sua definizione. Perché questa “politica” non può che essere o inizio o continuazione di guerra. E vergogna ai filosofi che non ce lo ricordano, che la filosofia è nata, invece, dalle menti che nella guerra hanno sì visto il presupposto reale e tragico di tutta l’avventura umana, ma proprio per questo, e per decenza, e per amor di dio, hanno anche visto che la politica è il solo mezzo per spegnerla, la guerra. Il solo, disperato, mezzo per salvare un pezzettino di umanità in noi. 

Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.

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