Autonomia, Premierato e Giustizia: le riforme contro la Costituzione

19 Giugno 2024

Domenico Gallo Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Questo contenuto fa parte di un osservatorio Autoritarismi

All’alba del 19 giugno, la Camera ha approvato in via definitiva la legge sull’autonomia differenziata. Il giorno precedente era arrivato il primo sì del Senato al Premierato. Poi toccherà alla riforma della Giustizia che agisce su una funzione particolarmente delicata dello Stato di diritto, quella che riguarda la garanzia dei diritti individuali delle persone.

Con l’autonomia differenziata, con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio e adesso con la proposta Nordio di cambiare l’ordinamento costituzionale della magistratura, si completa il disegno eversivo della destra che punta alla demolizione dei caratteri identificativi della Repubblica, delineati dalla Costituzione frutto della lotta di liberazione dal nazifascismo. 

Siamo in presenza di un attacco a tutto campo, all’esito del quale – se non arrestato in tempo – coloro che hanno vissuto l’avvento della Costituzione come frutto di una loro sconfitta storica, possono rivalersi cancellando quegli istituti democratici che connotano il carattere antifascista dell’ordinamento. 

Abbiamo già denunciato il carattere eversivo che assumerebbe l’autonomia differenziata secondo il disegno Calderoli; abbiamo già evidenziato i pericoli di accentramento autoritario insiti nel Premierato; adesso il governo Meloni si appresta a completare il quadro manomettendo la disciplina della magistratura regolata dal titolo IV della Costituzione.

La c.d. riforma della Giustizia non è meno pericolosa delle altre due perché agisce su una funzione particolarmente delicata dello Stato di diritto, quella che attiene alla garanzia dei diritti individuali delle persone.

La Costituzione garantisce l’indipendenza della magistratura a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo. Manomettere il sistema che la Costituzione ha delineato non riguarda interessi corporativi dei magistrati, ma si riflette direttamente sulle caratteristiche della risposta alle domande di giustizia. In particolare con questa manomissione costituzionale la giustizia non diventerà più rapida, né migliore, né aumenterà la capacità di tutelare i soggetti deboli di fronte agli arbitri dei poteri  pubblici o privati. Si tratta di una riforma – osserva l’Associazione nazionale dei Magistrati: “che non incide sugli effettivi bisogni della giustizia, ma che esprime la chiara intenzione di attuare un controllo sulla magistratura da parte della politica, che si attua essenzialmente con lo svilimento del ruolo e della funzione di rappresentanza elettiva dei togati del CSM e con lo svuotamento delle sue essenziali prerogative disciplinari, affidate ad una giurisdizione speciale di nuovo conio.” L’unico scopo di questa riforma è di “addomesticare” la giurisdizione, incidendo sulla cultura, la formazione e l’indipendenza dei magistrati.

La rottura del modello costituzionale, che ha sottratto il Pubblico Ministero dalla dipendenza dall’esecutivo per rafforzare l’efficacia del controllo di legalità e l’imparzialità della giurisdizione, non ha altro effetto che quello di spingere il pubblico Ministero fuori dalla cultura della giurisdizione e renderlo più prossimo alla funzione di polizia. Il mito del difetto di imparzialità della magistratura giudicante, causato dall’appartenenza del Pubblico Ministero alla medesima carriera dei giudici, viene proposto come una verità di fede, in quanto non è suscettibile di verifica empirica. Solo lo stato comatoso dell’informazione asservita al potere fa sì che si possa sostenere nello spazio pubblico una simile scemenza. L’esigenza di procedere ad una completa separazione delle funzioni,  in linea con il modello accusatorio del nuovo codice di procedura penale, non giustifica la rottura del modello costituzionale per procedere alla separazione delle carriere, in quanto i percorsi professionali dei magistrati requirenti e di quelli giudicanti sono stati rigorosamente separati, da ultimo con la riforma Cartabia, che consente il passaggio da una funzione all’altra soltanto una volta nel corso della carriera del magistrato.   

L’invenzione dei due Consigli superiori composti da membri sorteggiati cancella l’autogoverno e rende oscura e non trasparente l’attività di gestione della magistratura, della quale nessuno potrà essere chiamato a rendere conto. Si creano così le condizioni per un impoverimento culturale e ideale del corpo dei magistrati, che diventeranno sempre più “funzionari” del servizio giustizia e sempre meno garanti di ultima istanza dei diritti inviolabili dei cittadini. 

L’invenzione della c.d. “Alta Corte disciplinare” con la componente dei magistrati nominati per sorteggio, avendo slegato dall’autogoverno la funzione disciplinare, contribuisce a rafforzare il conformismo nel corpo dei magistrati, a detrimento dell’indipendenza reale. 

Anche questo progetto di riforma costituzionale deve essere respinto in blocco, senza cedimenti o compromessi. La risposta non può essere lasciata solo alla corporazione dei magistrati. E’ interesse di tutti i cittadini mantenere in vita il modello costituzionale, che garantisce l’indipendenza del giudiziario, e respingere ogni tentativo di manipolazione. 

Magistrato, giudice della Corte di Cassazione. Eletto senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell’arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare del conflitto nella ex Jugoslavia.

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