Nessun nuovo senatore a vita, dunque, e quelli esistenti, collocati in una “categoria a esaurimento”, umiliati e offesi. Esaurimento a uno a uno, fino a che morte non sopraggiunga o essi stessi non decidano di andarsene per difendere la propria dignità. La Patria non ha bisogno di loro e dei loro meriti e, se la vogliono “illustrare”, la Patria, sono liberi di farlo a casa loro. La loro voce, dice il Riformatore, non ci interessa. Anzi, ci infastidisce. Noi siamo il popolo e voi, con l’insolenza della vostra cultura, non siete il popolo in cui ci rispecchiamo. Dove va a finire l’eguaglianza se si tollerano questi signori che non sono stati eletti e si credono tuttavia in diritto di dire la loro? Anche noi, anzi solo noi. dice ancora il Riformatore, siamo popolo e ci sentiamo “patrioti”. Costoro si credono più uguali di noi, perché “hanno studiato”? Sono solo espressione di una fastidiosa mentalità aristocratica.
Questo, il retro pensiero di chi la pensa così: viva l’eguaglianza che non inquieta la nostra ignoranza, la nostra mediocrità, la nostra appartenenza al popolo dei somari. Questo sottinteso è purissimo populismo che fa capolino da un punto della riforma che solo a prima vista può sembrare di dettaglio.
Si dice: i senatori a vita, per quanto pochi, possono alterare i rapporti tra la maggioranza e le minoranze degli eletti, senza possedere la necessaria legittimazione democratica, e l’alterazione può essere più rilevante che in passato, perché oggi il numero dei senatori è stato ridotto, con la riforma del 2020, da 315 a 200. 5 su 200 è molto più di 5 su 315. Ma, qualcuno potrebbe rispondere: se si volesse rispettare la proporzione originaria, li si riduca a 3. No, non basta, perché ciò che importa è eliminare la categoria, come tale. È la categoria in sé che dà fastidio nella repubblica dei mediocri.
Si dice ancora: la loro presenza in Parlamento si legittima per ragioni diverse dalla politica che scaturisce dagli esiti delle elezioni e si articola nella dinamica parlamentare. Ma si potrebbe rispondere: escludiamoli allora dalle votazioni eminentemente politiche (come quelle sulla fiducia al governo), ma non priviamoci della possibilità di udire la loro voce che risuona in Parlamento e da lì si diffonde oltre le mura del “palazzo” quando sono in gioco valori e interessi della Patria che superano le divisioni tra i partiti. I senatori a vita, quando parlano, non parlano solo ai loro colleghi, ma a tutta la Nazione. Toglierli di mezzo non è solo una cattiva azione nei loro confronti e nei confronti del Senato, ma lo è anche nei confronti di tutti noi.