Privacy, automi e persone

01 Febbraio 2018

Vincenzo Vita

La Giornata europea per la protezione dei dati personali ha visto anche quest’anno una specifica e felice iniziativa dell’ufficio del Garante italiano, presieduto da Antonello Soro: “Uomini e Macchine. Protezione dati per un’etica del digitale”. Vi hanno partecipato, nei panel coordinati dalle componenti dell’autorità Augusta Iannini, Licia Califano e Giovanna Bianchi Clerici, studiosi ed esperti di qualità: da Vito Mancuso, ad Antonio Punzi, a Luisa Crisigiovanni, a Massimo Sideri, d Edoardo Fleischner, a Francesco Grillo. Ha chiuso i lavori, sopraggiunta di corsa, Maria Elena Boschi, un po’ fuori materia.

“Persone”, sarebbe stato meglio dire. Nel suo brillante intervento, infatti, il teologo Mancuso ha chiarito che tutelare la privacy significa innanzitutto guardare al dato-persona, che viene prima e dopo, e di fronte al quale si ridimensiona persino la geometrica potenza dell’intelligenza artificiale. In fondo, si può aggiungere, non è affatto la prima rottura di tale livello nella storia. Per dire, l’avvento della parola scritta inquietò Platone, come il vasto mondo dei monaci amanuensi visse come un sopruso l’invenzione dei caratteri a stampa di Gutenberg. La storia di Prometeo, ha ricordato l’editorialista del Corriere della Sera Sideri, è a sua volta emblematica. Gli algoritmi, del resto, sono innanzitutto una questione di potere: esercitato o anche solo desiderato.

Rivendicarne il carattere pubblico contro le oligarchie proprietarie è alla base del conflitto contemporaneo. Naturalmente, stando alle considerazioni di Francesco Grillo dell’università di Oxford, questa volta –rispetto al passato-  c’è un surplus: dall’Internet dei computer, a quello delle cose, alla mostruosa rete of beings: gli esseri umani agenti di connessione permanente. Nella sua efficace introduzione Soro ha denunciato il fenomeno: “Il corpo diviene una password che rende accessibile a chiunque la nostra identità più remota; la fisicità è ridotta a superficie di scrittura di un’identità indifesa”. La nostra identità digitale è carpita e “performata” da fonti che non controlla nessuno, tanto meno una politica flebile e disattenta. È stato evocato l’urlo premonitore di Derrick de Kerckhove sull’inconscio digitale, inascoltato tanti anni fa.

I grandi gruppi sovranazionali hanno usato i giochi per bambini come cavallo di Troia. Se ne è discusso in uno dei panel, dove è intervenuta la segretaria di “Altroconsumo” Luisa Crisigiovanni, che ha sciorinato numeri da shock: 31 miliardi di dispositivi collegati entro il 2020, 75 nel 2025. Fleischner ha rincarato la dose parlando della Cina. Facebook o Google fanno apparire gratuiti servizi in cui il “profitto” è costituito dai nostri corpi-sudditi. E se ne vedranno delle belle con gli influencer. Soro ne ha parlato, sottolineando il carattere mai neutrale degli algoritmi, con il passaggio dalla “guerra ibrida all’iperguerra informatica”. Tra l’altro, il 91% degli utenti neanche legge le disposizioni sulla privacy usando le diverse piattaforme.

A maggio entrerà in vigore il Regolamento europeo sull’argomento, varato lo sorso anno. In Italia siamo fermi alle pur preziose norme del 1996 e del 2003, nonché alle intuizioni di Stefano Rodotà. Senza cacciar farfalle, un aggiornamento normativo è d’obbligo ed altrettanto doveroso è il potenziamento della struttura del Garante, che si merita di salire più in alto nella classifica delle Autorità. La tutela della riservatezza oggi è tutt’altra faccenda. E’ il tessuto nervoso della post-democrazia.

manifesto, 31 gennaio 2018

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