Ci siamo detti più volte, in questi mesi di impegno prereferendario, che la smania di cambiare la seconda parte della Costituzione nasconde -nella migliore delle ipotesi- l’ incapacità di attuarne i principi contenuti nella prima e -nella peggiore- la chiara, seppur non dichiarata volontà di sabotarli, quei principi. E senza neanche il bisogno di scomodare la JP Morgan, le Banche centrali, i Fondi monetari e le Commissioni europee.
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Perché un Paese che -tra le tante nefandezze dell’ultimo ventennio- assiste passivamente alla indegna sceneggiata della rielezione di Napolitano, al siluramento di Prodi da parte del suo stesso partito, alla perdita di autorevolezza del Parlamento (da tempo, ormai, ridotto ad assemblea ratificante della produzione legislativa di un governo non rappresentativo della volontà popolare) e della Corte Costituzionale (basti pensare a come è stata bellamente disattesa la sentenza n.1 del 2014 e alle umilianti ragioni di opportunità politica, che hanno impedito che si tenesse l’udienza sulla costituzionalità dell’Italicum nella data fissata) non è evidentemente degno di avere una Costituzione -illuminata e progressista ma, anche, terribilmente impegnativa- come quella del 1948.
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Il Sì al prossimo referendum, allora, è un segno inequivocabile di rassegnata accettazione del declino morale, culturale, politico e sociale in atto. E’ la posizione, comoda e anonima, di chi è votato esistenzialmente alla sudditanza e si priva di qualsiasi possibilità di esercitare il proprio spirito critico. Delega e, tutt’al più, si indigna se il delegato traligna.
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Il No testimonia la volontà di resistere all’imbarbarimento e di recuperare -non da soli, individualmente, ma associandosi liberamente nelle organizzazioni sindacali e nei partiti, nei movimenti e nelle associazioni- i valori rivoluzionari della Carta del ’48, quando -in nome dell’ interesse generale- si pensava che ci fossero davvero dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Quando, in altre parole, si pensava che lo status di cittadino italiano con diritto di voto non poteva certamente bastare per fare di noi un popolo sovrano.
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(*) L’autore e’ socio del Circolo Leg di Napoli.