Poiché da qualche giorno si susseguono voci (con puntuali smentite) relative a un possibile slittamento della data del Referendum a causa del gravissimo terremoto che ha colpito l’ Italia centrale, il pensiero è andato a un’analoga situazione nella quale questa ipotesi fu -se ricordo bene- prontamente scartata.
Mi riferisco al 1976, anno tornato all’attenzione dei media perché fu in quell’anno che Tina Anselmi – ‘madre costituente’ recentemente scomparsa – divenne la prima donna ministro della Repubblica. E lo divenne all’indomani di elezioni politiche che si erano regolarmente svolte il 20 e 21 giugno ad appena un mese e mezzo dal terribile terremoto del Friuli del 6 maggio. Un sisma della stessa intensità di quello che, da fine agosto, sta facendo tremare il cuore dell’Italia, ma dagli effetti ancor più devastanti. A parte, infatti, il tragico numero dei morti (990), il terremoto di 40 anni fa interessò 600.000 persone e registrò oltre 100.000 sfollati.
Ebbene, malgrado la situazione fosse così grave per la popolazione del Friuli, in quelle elezioni -le prime aperte anche ai diciottenni- andarono a votare 848.478 residenti in Friuli su 899.358 aventi diritto al voto: una percentuale (94,34%) ancora più alta della già alta media nazionale (93,39% : 37.755.090 votanti su 40.426.658 aventi diritto). Un dato che si commenta da solo.
So bene che quelle percentuali appartengono alla tanto vituperata Prima Repubblica e che difficilmente le rivedremo, ma so anche che esercitare -in modo responsabile e consapevole- i propri diritti (come, appunto, quello di voto) e assolvere ai propri ‘doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale’ è l’unico modo per dare concretezza al principio della ‘sovranità popolare’, così come scolpito nell’ articolo1 della nostra Costituzione.
Una Costituzione scritta non all’insegna della paura -come qualcuno ha voluto farci credere descrivendoci, per esempio, il bicameralismo paritario come un chiaro segno di mancanza di fiducia nel prossimo- ma, al contrario, all’insegna della coraggiosa affermazione di quei valori etici, culturali, sociali e politici, dei quali una democrazia non può fare a meno.
Penso -e non soltanto nei momenti drammatici di una calamità naturale- a che ne sarebbe della nostra società se abbandonassimo la nobile pratica della solidarietà o se anteponessimo gli interessi privati al primato del pubblico o se, abbacinati dai miti mercantili e liberisti del successo, del profitto, dell’efficienza, della meritocrazia, noi dimenticassimo l’impegno prioritario contenuto nel secondo comma dell’articolo tre della Costituzione.
Ecco perché penso che enfatizzare la situazione di disagio e di forte malessere delle popolazioni colpite dal sisma per giustificare un rinvio della consultazione referendaria sia un grave errore.
Quelle popolazioni, infatti, proprio perché hanno perso tutto, hanno un estremo bisogno di vedere rispettate le regole della democrazia e una proposta che intenda cambiarle in corsa, quelle regole, non incontrerebbe né la loro approvazione, né quella dei tanti cittadini -dell’un fronte come dell’ altro- che stanno impegnandosi, con tutta la loro passione civile, in questa lunga campagna referendaria.