Osare più democrazia

spinelliLA DEMOCRAZIA deve cambiare forma e rimpicciolirsi, a causa della crisi? E andando alla sostanza: c’è un tempo per la democrazia e uno per l’economia — come c’è un tempo per piangere e ridere, per demolire e costruire — diversi l’uno dall’altro e concepibili solo in successione?
A GIUDICARE da quel che accade in Italia si direbbe che questo sia il convincimento di chi governa, quando non riesce a fronteggiare il degrado democratico nei modi che scelse il cancelliere Willy Brandt, in un altro momento critico della storia recente. «Quel che vogliamo è osare più democrazia», disse Brandt il 28 ottobre 1969, e promise metodi di governo «più aperti ai bisogni di critica e informazione » espressi dalla società, «più discussioni in Parlamento », e una permanente concertazione «con i gruppi rappresentativi del popolo, in modo che ogni cittadino abbia la possibilità di contribuire attivamente alla riforma dello Stato e della società ». Ai cittadini si chiedeva più responsabilità (specie ai giovani contestatori del ‘68): ma i doveri s’iscrivevano in una democrazia più estesa, partecipata.
Non sembra vadano in questo senso le riforme costituzionali del Premier Pd, né le parole di chi gli è vicino, riportate su questo giornale da Claudio Tito: «Per governare efficacemente nel XXIsecolo serve soprattutto velocità: approvazione o bocciatura rapida dei disegni di legge e capacità di mantenere la sintonia con tutti i componenti della squadra ». Velocizzare, semplificare, dilatare i poteri dell’esecutivo: questi gli imperativi. Cambiano le sequenze, perfino i vocaboli: prioritaria diventa la rapidità, e i ministri sono «componenti di squadre». Renzi non è il primo a dire queste cose, né l’Italia è l’unica democrazia debilitata dalla crisi. Sono spesso così, gli interregni: ci si congeda dal vecchio ordine, e al suo posto se ne insedia uno che solo in apparenza rispecchia le mutazioni in corso. Ovunque i governi sentono che la terra trema, sotto di loro, e imputano il terremoto a una democrazia troppo lenta, a elezioni troppo frequenti. Denunciano a ragione la fatica dell’azione, ma si guardano dallo smascherarne i motivi profondi.
La perdita di sovranità e il trasferimento dei poteri reali verso entità internazionali spoliticizzate sono il problema, non i «lacci» interni che sono la Costituzione, i sindacati, addirittura il suffragio universale. Il farmaco non è la velocità in sé, ma il cambio di prospettiva. L’equivoco è ben spiegato dal sociologo Zygmunt Bauman: la crisi del governare è indubbia, «benché in definitiva sia una crisi di sovranità territoriale».
Renzi non smaschera i mali autentici, quando propone l’accentramento crescente dei poteri in mano all’esecutivo, la diminuzione degli organi eletti dal popolo, lo svigorimento di istituzioni e associazioni nate dalla democrazia: Senato in primo luogo, ma anche sindacati e perfino soprintendenze (il cui scopo è quello di occuparsi del patrimonio artistico italiano resistendo ai privati). Una delle sue frasi emblematiche è: se Cgil o Confindustria s’oppongono, «ce ne faremo una ragione».
I traumi ci saranno, ma alla lunga la loro razionalità sarà chiara. C’è una differenza, fra la sua accelerazione e quella di Brandt. Scansare gli ingombri della democrazia è una tentazione ormai antica in Italia. Cominciò la P2, poi seguita da Berlusconi. Ma il pericolo di una bancarotta dello Stato, e i costi di una politica colpita dal discredito, hanno dato più forza a queste idee, seducendo governi tecnici e anche il Pd. Memorabile fu la dichiarazione di Monti, intervistato dallo Spiegel il 5 agosto 2012. Accennando ai veti opposti dai Paesi nordici alle decisioni europee, e al mandato affidatogli dalla Camera (difendere a Bruxelles gli eurobond), disse:«Capisco che debbano tener conto del loro Parlamento, ma ogni governo ha anche il dovere di educare le Camere. (…) Se io mi fossi attenuto in maniera del tutto meccanica alle direttive del mio Parlamento, non avrei mai potuto approvare le decisioni dell’ultimo vertice di Bruxelles. Se i governi si lasciano totalmente ingabbiare dalle decisioni dei Parlamenti senza preservare la propria libertà di agire, avremmo lo sfaldamento dell’Europa». Renzi dunque completa ragionamenti già in circolazione, e li trasforma in «spirito del tempo». Quel che non aveva previsto, era la critica che sarebbe venuta dal presidente del Senato Pietro Grasso, oltre che l’allarme creatosi fra costituzionalisti come Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà. La riforma potrebbe indebolire la democrazia, sostiene Grasso nell’intervista a Liana Milella su Repubblica di domenica. Mutare il ruolo del Senato e abolire le Province è importante, ma qui si stanno facendo altre cose. Il Senato resta, solo che cessa di essere elettivo. E restano di fatto le Province, anch’esse non più elettive ma governate da dirigenti comunali. L’ambizione è liberare l’Italia dai lacci che l’imbrigliano, ma la paralisi decisionale non si supera riducendo gli organi intermedi creati per servire l’interesse generale, o rendendoli non elettivi. Tantomeno può imbarcarsi in simile impresa un Parlamento certo legale, ma che la Consulta ha sostanzialmente delegittimato giudicando incostituzionale il modo in cui è stato eletto. Più fondamentalmente, l’impotenza dei governi non si sormonta ignorando il male scatenante che è appunto la loro dipendenza dai mercati, e cioè da forze anonime, non elette, quindi non licenziabili. Sono loro a decidere il lecito e l’illecito.
È stata la JP Morgan a sentenziare, in un rapporto del 28-5-13, che l’intralcio, nel Sud Europa, viene da costituzioni troppo influenzate dall’antifascismo postbellico: costituzioni «caratterizzate da esecutivi e stati centrali deboli, dalla protezione dei diritti del lavoro, dal diritto di protesta contro ogni mutamento sgradito dello status quo». Così come dalla crisi europea si esce con più Europa, anche dalla crisi delle democrazie si esce con più democrazia. Lo disse fin dall’800 Tocqueville, esaminando i difetti delle società democratiche. Si esce ampliando i sistemi del check and balance, dei controlli e contrappesi: frenando con altri poteri la tendenza del potere a straripare. I continui conflitti sociali e istituzionali sono un rischio delle democrazie, non una maledizione. Sbarazzarsene con leggi elettorali non rappresentative o eludendo le obiezioni («ce ne faremo una ragione») sfocia nel contrario esatto di quel che si vuole: i conflitti inacidiscono, l’opposizione non ascoltata disimpara a trattare. Resta il rapporto diretto fra leader e popolo, non dissimile dall’»unzione » plebiscitaria di Berlusconi. E Renzi neppure è un Premier eletto. Quando parla di «promesse fatte agli italiani », non si sa bene a cosa si riferisca. Salvare le costituzioni in un solo Paese non è possibile: questo è vero e andrebbe detto. Occorre che l’Europa e il mondo si dotino di strumenti democratici per governare poteri già sconnessi dalle sovranità territoriali: gli interessi finanziari e commerciali, l’informazione, il commercio della droga e delle armi, la criminalità, il terrorismo. Manca un ordine nuovo che li controlli, e cui i cittadini aderiscano non più nazionalmente (è impossibile) ma per patriotti-smo costituzionale, come preconizzato nel ‘79 dal filosofo liberale Dolf Sternberger, prima che Habermas resuscitasse il concetto.
Manca uno spirito cosmopolita della democrazia: qui è il cambio di prospettiva. L’Europa potrebbe incarnarlo, se agisse come argine contro le crisi delle democrazie nazionali, e al contempo contro l’arbitrio dei mercati. Più democrazia e più governabilità non si escludono a vicenda; non si conquistano «in sequenza ». O si realizzano insieme, o perderemo l’una e l’altra.  Ovunque i governi sentono che la terra trema sotto di loro e imputano il terremoto a una democrazia troppo lenta e a elezioni frequenti “

5 commenti

  • Dobbiamo scendere in piazza a fianco di Libertà e Giustizia,contro la svolta autoritaria,contro la riforma costituzionale del senato,contro la riforma presidenziale della costituzione,che è la riforma della p2, scendiamo in piazza con altre associazioni come Libera di Don Ciotti,come le scolaresche delle scuole di Roma,come la Fiom ecc.ecc.

  • Libertà e Giustizia scenda in piazza,contro la svolta autoritaria,contro la riforma costituzionale del senato,contro la riforma presidenziale della costituzione,che è la riforma della p2, scendiamo in piazza con altre associazioni come Libera di Don Ciotti,come le scolaresche delle scuole di Roma,come la Fiom ecc.ecc.

  • se ce lo teniamo come verrebbe eletto questo Senato? come la Camera? Che senso avrebbe? Con un sistema diverso? Ci ritroveremmo al punto di partenza —

  • Libertà e Giustizia sponsorizza la lista Tsipras, il duo Casaleggio-Grillo, che in Europa si colloca di fatto con Marina Le Pen, sottoscrive il manifesto di LeG per la difesa del bicameralismo perfetto. Il desiderio che da tempo agita l’Associazione Libertà e Giustizia di scendere in campo e ‘fare politica’ temo le abbia fatto progressivamente smarrire la propria via statutaria della “crescita politico culturale della società civile”, ovvero la via maestra della cultura, tra conflittualità con il Pd e rancori di personalità conservatrici. LeG con una resistenza costituzionalista tanto intransigente quanto ideologica (le convinzioni sono nemici più pericolosi per la verità delle bugie stesse) si propone come punto di riferimento per la formazione di una nuova sinistra italiana, uno sciame meteoritico capace da una parte di criticare i salvatori della patria domestici, salvo poi affidarsi a salvatori della patria fuoripista, mentre dall’altra si mostra incapace di presentare un proprio leader all’altezza di sostenere idee per l’Europa. Una scelta tattica che si rileverà sbagliata in assenza di una strategia degna della politica vera: la visione dell’interesse lontano. La separazione tra cultura e politica è la madre del principio della separazione dei poteri, perchè non è la cultura che deve andare alla politica, ma la politica alla cultura: prima si pensa l’Illuminismo, poi si fa la Rivoluzione Francese. Good night and good luck.

  • Barbara Spinelli figlia di Altiero Spinelli e compagna di Padoa Schioppa
    Quanta sinistra…

    L’Arcobaleno 3″ ovvero “L’Altra Europa con Tsipras

    Dopo “La Sinistra – L’arcobaleno” bertinottiano (PRC+PdCI+SD+I Verdi), dopo “Rivoluzione Civile – Lista Ingroia” (Rifondazione Comunista+Comunisti Italiani+Antonio Di Pietro+I Verdi), ecco !L’Altra Europa con Tsipras! (vari liquidatori e liqudazionisti del Comunismo), nuovo contenitore privo di contenuti ideato da chi ha demolito il movimento Comunista tradendo i Lavoratori.

    La porcata non è affatto presente unicamente a carattere locale,vorrei ricordare che i due partiti PRC e PdCI, si odiano reciprocamente, l’unità dei comunista che proponeva l’Area de l’Ernesto non si è mai fatta e mai si farà, Ferrero e Diliberto si sono prima federati rimuovendo nuovamente dal simbolo il nome Comunista e mettendo al suo posto la denominazione “FDS” Federazione della Sinistra. A seguito del congresso che vide l’elezione di Paolo Ferrero Segretario nazionale di Rifondazione Comunista, i Compagni dell’Ernesto vennero tutti sistematicamente estromessi da ogni incarico dirigenziale, nel frattempo l’alleanza di Pegolo e Ferrero produce la collocazione degli uomini dell’area trotskista Ottobre, alla quale fa capo Guido Benni, e degli uomini della nuova area a conduzione familiare denominata Sinistra Comunista creata da Pegolo, Dalla Paolini, dal figlio della Paolini, e appoggiata dallo stesso Benni. A tutto ciò si aggiungono le aggravanti di Paolo Ferrero, che ormai eletto Segretario del partito, non onora nessuno degli impegni presi con l’Area de l’Ernesto, impegni politici per i quali ricevette i voti dell’Ernesto. L’Area Ernesto decide quindi di operare la scissione dal PRC per confluire nel PdCI di Diliberto, apparentemente non più governista, e invece fortemente leninista e gramsciano (la realtà come si sa è tutt’altra cosa). Si confluisce nel PdCI con un congresso e con una mozione congressuale unica che poi è il contenuto del libro Ricostruire il Partito Comunista (scritto da Diliberto e Sorini), per volere di Diliberto e su coordinamento della Palermi, l’Area dell’Ernesto si scioglie. Si assiste ad un cambio rotta repentino del PdCI ad ogni elezione locale, il partito entra nelle giunte mafiose siciliane con il PD, l’UDC e l’MPA, mentre al nord PdCI e PRC governano le giunte locali con FLI di Gianfranco Fini (partito di riferimento degli imperialisti israeliani). Si svolgono le elezioni in Russia, il PCFR consegue risultati consistenti, ma il PdCI, non menziona assolutamente la cosa, e quando lo si fa notare alla Palermi, lei risponde di non poter pensare a tutto (come non pensa ai governi locali siciliani in cui il PdCI sta con i mafiosi dell’MPA ed ai governi locali dell’Italia settentrionale nei quali il PdCI sta con i sionisti di FLI ). Nel PdCI si continua a dire che si vuole fare l’unità dei comunisti, tuttavia giungiamo alle elezioni nazionali -NON LOCALI- e Diliberto, invece di presentare una lista comunista, cosa fa? Si reca al PD, e si presenta a Bersani con il cappello in mano per proprorgli una coalizione che inglobi anche i Comunisti Italiani, Bersani manda via il potenziale alleato perchè risulterebbe un pò scomodo da far digerire all’elettorato del PD, alla BCE e al FMI. Diliberto torna indietro, ma non propone l’unità dei comunisti inuna lista elettorale come logica imporrebbe, lui e Ferrero raccattano il Segretario dei Verdi e Antonio Di Pietro nel momento storico in cui egli e l’IDV sono sommersi dagli scandali che portano allo sciogliemento dell’Italia dei Valori. I 4 dell’Ave Maria impresentabili, utilizzano Ingroia come facciata e creano L’Arcobaleno 2 di Bertinotti, stavolta denominandolo Rivoluzione Civile. Si svolgono le elezioni, e la lista non supera lo sbarramento, il PdCI tenta di nuovo di ingannare i propri iscritti, nega i fatti avvenuti e senza alcuna dignità, ripropone l’unità dei comunisti. Arriviamo nuovamente alle elezioni e il PdCI crea assieme al PRC un nuovo progetto per conquistare la poltrona: L’Altra Europa con Tsipras. Dico con il mio assoluto disgusto e totale disprezzo aigli attuali dirigenti del PRC e a quelli del PdCI, di mettersi una maschera sul viso ed andarsene a lavorare, sono un offesa ai Popoli oppressi, alla povertà, alla miseria, alla disoccupazione, alla precarietà e al lavoro.

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