In povertà sua lieta sciala da gran signore

06 Aprile 2014

MATTEO Renzi è per il cambiamento? Anche noi siamo per il cambiamento. Renzi è per le riforme? Anche noi siamo per le riforme. Renzi è per la prevalenza della politica sull’economia? Noi siamo per l’economia politica, forse è la stessa cosa detta con altre parole, ma forse no, dipende. Renzi è per gli annunci ai quali seguiranno i fatti? Noi siamo per i fatti e per i programmi che inquadrano i fatti già avvenuti nel quadro di un sistema.
Infine, Renzi è per la riforma del Senato ed anche noi lo siamo, ma c’è riforma e riforma, cambiamento e cambiamento, innovazione e innovazione. A volte, come diceva Rabelais nel suo Pantagruel, le parole diventano di ghiaccio e non sono più pronunciabili. Bisogna dunque farle sciogliere e dar loro un senso, un significato. Il problema dunque è questo: dare alla parola Senato un nuovo ma sostanzioso significato. Oppure tanto vale abolirlo.
Il Senato delle autonomie non ha senso alcuno, c’è già la conferenza Stato-Regioni, che comprende anche i Comuni; è formata da tutti i governatori e da tutti i sindaci ed ha un comitato ristretto eletto dall’assemblea di tutti i suddetti. Non costa un centesimo se non il viaggio a Roma quando l’incontro col governo ha luogo.
Il Senato delle autonomie sarebbe un inutile doppione. I romani, quando parlavano della loro Repubblica, dicevano Sena-tus populusque. Durò quattrocento anni, Ottaviano Augusto lo conservò, Nerva e i suoi quattro successori lo restaurarono; poi ebbe inizio il declino dell’impero che durò per altri quattro secoli. Adesso il tempo corre assai più velocemente.
DUNQUE cominciamo dal Senato. Nessuno, tranne il movimento di Rodotà e Zagrebelsky, si oppone all’abolizione del bicameralismo perfetto perché, appunto, è una gigantesca imperfezione.
In teoria neppure il Movimento 5 Stelle vi si oppone anche se voterà contro adducendo pretesti privi di consistenza. Lo vuole Renzi, lo vuole Berlusconi, lo vuole Alfano, lo volevano i “saggi”, lo vuole anche l’attuale presidente Pietro Grasso e lo vuole Giorgio Napolitano. E non soltanto per tagliare il numero dei senatori e non spendere neppure un euro per chi vi partecipa. Anche il numero dei deputati dovrebbe essere tagliato, ma queste sono economie che equivalgono a voler prosciugare il mare usando il cucchiaio.
Qui invece stiamo parlando di architettura costituzionale che è tutt’altra cosa. Il Senato non dovrà più votare la fiducia al governo né approvare il bilancio dello Stato e la legislazione connessa, salvo che non si ravvisi una violazione costituzionale. Sulla costituzionalità di tutti gli atti del governo il Senato potrebbe anzi dovrebbe esercitare la sua vigilanza allo stesso modo in cui l’esercita la Camera.
Così pure potrebbe, anzi dovrebbe esercitare un accurato controllo sulla pubblica amministrazione, tanto più rigoroso in quanto la Camera esprime il governo e lo sostiene con la sua fiducia. Il Senato è dunque il ramo del Parlamento più consono al controllo della regolarità e dell’efficienza della pubblica amministrazione. Si dirà che una parte di questo controllo è affidato alla Corte dei Conti, ma quella è una magistratura che persegue irregolarità o addirittura reati di natura contabile; negli ultimi tempi è andata al di là di queste sue competenze e non è comunque un ramo del Parlamento.
Infine il Senato potrebbe, anzi dovrebbe svolgere un ruolo culturale approfondendo temi scientifici, sanitari, ecologici, umanistici, che spesso sono affrontati dal governo e dalle Regioni senza preparazione e quindi compiendo errori che possono essere di grave nocumento per i governati. Per adempiere a questo compito il Senato dovrebbe esser composto da un certo numero di membri che rappresentino altrettante
“eccellenze” e le mettano a tempo pieno a disposizione del paese. Non possono certo essere eletti, ma nominati dal capo dello Stato che potrà avvalersi di rose di nomi fornite da Accademie culturali, Università, scuole specializzate. Concordo pienamente su questo punto con la senatrice a vita Elena Cattaneo che ha formulato in proposito una sua specifica proposta.
Questo è il mio pensiero che vale quel che vale, cioè assai poco. Ma i temi no, non sono soggettivi. I temi per fare dell’attuale Senato non una scatoletta vuota ma una Camera Alta nel pieno senso della parola, sono questi e su di essi si può e anzi si deve svolgere un libero dibattito che porti ad una legge costituzionale idonea a costruire un’equilibrata architettura costituzionale.
In una fase in cui si aumenta il potere decisionale del governo e soprattutto quello del premier, annullare completamente una delle due Camere configura una tendenzialità autoritaria estremamente rischiosa specie in tempi di partiti personalizzati. La premiership è cosa del tutto diversa dall’attuale presidenza del Consiglio. Diversa e probabilmente necessaria purché opportunamente bilanciata. I poteri e il rapporto tra di essi in Usa tra il Presidente degli Stati Uniti e il Congresso ne sono la prova, confortata da quella del Regno Unito britannico nel rapporto tra il premier e i Comuni. Congresso in America, Camera dei Lord in Gran Bretagna sono due esempi da non perder di vista in Italia e nella futura Europa nel giorno auspicabile in cui diventerà un vero Stato federale.
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C’è un secondo tema di estrema attualità e più sentito di ogni altro dalle persone e dalle famiglie che sopportano ormai da almeno due anni e forse più gravi sacrifici economici ed hanno perso la speranza di poterli rapidamente attenuare. Gli interventi per alleviare quei sacrifici e risvegliare quella speranza sono stati annunciati e per alcuni di essi è stata fornita la data d’esecuzione: i 10 miliardi di diminuzione del cuneo fiscale (che per quest’anno saranno soltanto 6,5-7) e il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese creditrici.
La data di abbattimento del cuneo fiscale avrà inizio con le buste paga del 27 maggio ed avrà luogo con una detrazione o un bonus di 80 euro mensili (16 dei quali già contabilizzati dalla legge di stabilità votata ai tempi del governo Letta).
Quanto ai debiti della pubblica amministrazione, il pagamento è un problema tutt’altro che risolto. La cifra complessiva è stata valutata a circa 60 miliardi, ma le relative fatture non sono mai state certificate dai debitori e cioè dal Tesoro e soprattutto dalle Regioni e dai Comuni. In alcuni casi la mancata certificazione è responsabilità delle imprese che pretendono di esser pagate per lavori mai fatti o contestati dall’ente committente.
Insomma i debiti pagabili non sarebbero più di 5 miliardi che si aggiungono ai 27 già contenuti nella legge approvata durante il governo Letta.
La Cassa depositi e prestiti dal canto suo è immediatamente disponibile a garantire le banche per i pagamenti suddetti fino a una cifra che quest’anno non supera i 30 miliardi e quindi liquidarne 60 è fuori questione.
Quale che sia l’ammontare effettivo di questa operazione, essa sarebbe estremamente importante per immettere liquidità nel sistema ed obbliga le banche ad uscire dal loro malsano torpore nei confronti dell’economia reale. La quale comunque dovrebbe ricevere un decisivo sostegno dalle iniziative preannunciate da Mario Draghi tre giorni fa col sostegno unanime del Consiglio della Bce, rappresentanti della Bundesbank compresi.
L’impegno di Draghi ha come obiettivo quello di fronteggiare un’ulteriore caduta dei prezzi nei paesi dell’eurozona (e non soltanto) prevedendo iniziative «convenzionali e non convenzionali». L’ammontare è enorme perché si parla d’una cifra tra i 900 e i 1.000 miliardi di euro che potrebbero essere impiegati nell’acquisto di bond e di obbligazioni dei debiti sovrani ma anche emessi da imprese private. Lo scopo non è soltanto quello di aumentare la liquidità del sistema ma anche di favorire un ribasso nel tasso di cambio dell’euro nei confronti del dollaro incentivando in tal modo le esportazioni europee e soprattutto quelle degli Stati meridionali dell’Unione verso l’area del dollaro. Se il rapporto di cambio scendesse verso l’1,20 dall’attuale 1,37 non c’è dubbio che gli investimenti segnerebbero una ripresa con benefici notevoli sull’economia reale.
Le altre iniziative in corso da parte del governo Renzi sono ancora vaghe specie per quanto riguarda le relative coperture. Perfino lo sgravio dell’Irpef è ancora in cerca di copertura anche se Renzi ladàpertrovata.La spending reviewnel 2014 difficilmente fornirà una cifra superiore ai 3 miliardi; altre risorse immediatamente disponibili sono già impegnate per finanziare i Comuni in difficoltà, per risanare edifici scolastici in dissesto e completare lavori pubblici di urgente necessità. Infine per finanziare l’occupazione dei giovani, già iniziata dal governo Letta come abbiamo ricordato domenica scorsa, ma bisognosa di ulteriore sostegno e ampliamento.
Renzi promette ed è utile che lo faccia per conquistare consensi in vista delle imminenti votazioni europee, ma affinché quegli annunci si trasformino in fatti concreti ci vogliono mesi e spesso anni come del resto ha avvertito il nostro ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. «In povertà mia lieta, scialo da gran signore» dice il protagonista della Bohèmea Mimì. Non vorremmo applicare questa parola al nostro presidente del Consiglio, ma il rischio c’è e non è affatto da poco.
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Le elezioni europee del 25 maggio produrranno secondo il loro risultato varie conseguenze nei singoli paesi membri della Ue e nel Parlamento di Strasburgo.
Per quanto ci riguarda esse misureranno col sistema proporzionale la consistenza delle varie forze in campo che, lasciando da parte partitini di piccolissime dimensioni, si riducono a cinque: il Pd di Renzi, i pentastellati di Grillo, Forza Italia di Berlusconi, il centrodestra di Alfano e la Lega.
Due di questi partiti sono decisamente antieuropei e antieuro: Grillo e la Lega. Forza Italia di Berlusconi è a mezza strada secondo quelli che saranno durante la campagna elettorale gli umori del capo. Due, il Pd di Renzi e il centrodestra di Alfano, sono europeisti e decisamente favorevoli all’euro. Tutti comunque, nessuno eccettuato, puntano a favorire la crescita dell’economia reale, ma gli anti- euro immaginano una crescita mentre parteggiano per un obiettivo che produrrà soltanto rovine e macerie portando gli Stati che abbandoneranno la moneta unica a livello dei paesi economicamente poveri e politicamente del tutto irrilevanti.
Se poi vogliamo considerare lo scacchiere politico italiano per quanto riguarda la natura delle forze che si confrontano, constatiamo che Grillo, Berlusconi e la Lega sono partiti di natura chiaramente populista; il centrodestra di Alfano ed anche di Casini certamente no. E Renzi? Che cos’è Renzi e il partito renziano che ancora chiamiamo Pd ma la cui natura è profondamente cambiata?
Esprimo qui un’opinione personale: Renzi è un populista che combatte il populismo in casa d’altri ma lo applica in casa propria. Dicono gli osservatori che circa cinque ore al giorno sugli schermi delle varie trasmissioni televisive appare lui con la sua facondia, la sua capacità di ispirare simpatia, il fascino seduttivo che emana dal suo viso, dai suoi gesti, dalla sua figura. Renzi persegue l’obiettivo di guadagnare consensi e stravincere alle prossime europee.
La tecnica seduttiva non si impara, ci si nasce. Poi con il tempo e l’esperienza la si affina e se ne fa uno strumento di potere a favore del partito di cui si ha la guida, e se l’operazione funziona porta al possesso di quel partito. Questo è Renzi. Con le caratteristiche di Berlusconi senza i vizi e i crimini di Berlusconi. È il figlio buono e bravo di Silvio e infatti lo dice e ne è alleato e lo sosterrà, pronto però a pugnalarlo alle spalle se dovrà in qualche modo evitare la sconfitta alle europee. Renzi lo sa che può anche avvenire questo; d’altra parte è lui che ha rimesso Berlusconi in circolazione politica e chi può essere causa del suo male pianga se stesso. Renzi comunque ha due nemici, uno dichiarato è Grillo, l’altro potenziale è Berlusconi. Tre populismi si affronteranno dunque il 25 maggio con l’obiettivo di non perdere i voti che già hanno, di prenderne il più possibile dal partito delle astensioni e qualcuno dagli avversari.
Nella storia moderna il populismo, i partiti personalizzati, le leadership assolute e il decisionismo sono diventati conseguenze inevitabili del suffragio universale, perciò il livello della politica e la qualità del bene comune sono precipitati in basso.
A noi piacerebbe risollevarli, usare la critica responsabilmente tutte le volte che ci sembri necessario, sostenendo anche ciò che non ci piace se non vi sono alternative disponibili. Ma le alternative — se non ci sono — bisogna comunque prepararle. Ecco un ruolo che possiamo e dobbiamo assumerci con il massimo impegno. Informare la gente e aiutarla a capire educandola alla democrazia. Non è facile ma è ciò che abbiamo tentato di fare per tutta la vita.
Post scriptum. Parlandoastudentibelgieolandesi papa Francesco ha detto che i poveri sono il cuore del mondo e aiutare i poveri è la sola cosa che ci procuri la salvezza. Qualcuno l’ha accusato di comunismo e lui ha risposto: dico quello che c’è scritto nel Vangelo.
Io ho scritto più volte che questo papa è rivoluzionario e non certo perché è comunista ma perché ripete a duemila anni di distanza la predicazione di Gesù di Nazareth. Questo a centinaia di milioni di persone piace sentir dire e piace molto anche a me che non sono né credente né comunista.

 

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