E’ risaputo che ogni apertura delle urne è in Italia motivo di fibrillazione, anche quando si tratta di test elettorali di modesta entità. Ma questa volta i risultati delle amministrative, che hanno chiamato al voto oltre nove milioni di elettori, intorno al 20 per cento del totale, sono davvero clamorosi. Emergono i dati di un mutamento profondo. Di un vero e proprio tsunami dell’indignazione popolare. Che investe un sistema politico malato e incapace di rinnovarsi. Molti sono i motivi che hanno contribuito a questo risultato. A cominciare dalla sofferenza sociale “insostenibile” che attraversa il Paese. Ma ciò che comprende e sopravanza i diversi elementi è la frattura sempre più profonda, tale da far tenere che sia definitiva, tra partiti e società. La sintesi di questo stato di cose è il successo, al di là di ogni previsione, conseguito dalle liste di Beppe Grillo.
Si dirà che la “vittoria” dei grillini era prevista un po’ in tutti i sondaggi. Ma sono le sue dimensioni a sorprendere. Il Movimento 5 stelle ha raddoppiato i suoi voti rispetto alle regionali del 2010. Si prende il ballottaggio con il centrosinistra a Parma, mettendo fuori gioco il Pdl. A un certo punto, ha fatto pensare di poter bissare lo stesso risultato addirittura anche a Gevova. Ciliegina sulla torta, infine, si toglie lo sfizio di avere il suo primo sindaco in un paese del vicentino. Questi risultati li ha conseguiti, evidentemente, togliendo consensi al centrosinistra, ma anche a un centrodestra ormai in caduta libera, arrivato alle elezioni in condizioni pessime.
Stando così le cose, ha ancora senso etichettare questi voti come manifestazione dell’antipolitica? Non bisogna, piuttosto, fare i conti con il rifiuto dell’attuale politica e con la richiesta di un suo radicale mutamento? Chi scrive non ha mai avuto in simpatia lo “stile” di Grillo: le provocazioni, il grido, gli insulti. Le sue frasi assurde, che talora appaiono addirittura delittuose. Però, non si può negare che ci sono anche critiche fondate, meritevoli di rispetto. E’ utile, alla fine, distinguere tra quanto il comico genovese proclama per parlare alla pancia della sua “ggente” e l’impegno e la passione civica di uomini del suo Movimento che a livello locale avanzano anche proposte concrete e per nulla qualunquistiche. Bisogna riflettere, dunque, sulla richiesta di un’altra politica. Che metta fuori l’arbitrio, gli abusi, le manipolazioni. Che ritrovi le ragioni e le regole di una corretta rappresentanza. Che studi e affronti i problemi. Che formi una classe dirigente per il futuro. A tutto questo i partiti avrebbero dovuto lavorare, all’ombra del governo tecnico. Invece, abbiamo il vuoto. Nessuna prospettiva di una buona legge elettorale, di una buona legge sul finanziamento pubblico dei partiti, di una legge anti-corruzione, del nuovo assetto dalla Rai e così seguitando.
L’altro dato, altrettanto importante, di queste elezioni, è il crollo del Pdl e della Lega. Il partito di Berlusconi, per dirla in termini calcistici, non tocca palla: in quasi tutte le aree che contano appare fuori gioco. Privo delle mirabolanti invenzioni propagandistiche del suo padre-padrone, trova uno spazio sempre più ridotto nella geografia politica del Paese. Non sta meglio la Lega, travolta dagli scandali. Ha vinto a Verona al primo turno, ma è stato un successo del suo sindaco, oltretutto sgradito a Bossi, non del Carroccio.
Non si deve neppure trascurare il sostanziale flop del Terzo polo, le cui ambizioni sono state decisamente ridimensionate. Chi tiene, alla fine, sia pure con qualche sofferenza, è solo il Pd. Rispetto ai risultati del 2007, il partito di Bersani può contare su un discreto recupero. Ma la strada è ancora lunga e carica di incognite. Non è semplice, dopo questo voto, definire una seria proposta per il Paese. Le difficoltà sono aumentate dal dilagare del Movimento 5 stelle e dall’influenza che i grillini possono avere sui possibili alleati del Partito democratico. Ma il dovere di dare una risposta seria agli elettori, in vista delle politiche del prossimo anno, si è fatto più urgente. E presuppone, oltre al tema delle alleanze, la capacità di un serio lavoro di auto-riforma.
Nel frattempo, il voto non aiuta certo il governo Monti. C’è la tentazione del Pdl di scaricare sull’esecutivo “tecnico” le responsabilità della propria sconfitta. Riemerge a destra il “populismo” che l’arrivo a Palazzo Chigi del Professore aveva frenato. E’ difficile immaginare una via ‘uscita.. Ma sappiamo che altri errori, altri colpevoli rinvii, aprirebbero la strada alla retorica di nuovi demagoghi. A quel punto, saremmo lontani dalla Francia di Hollande. Sempre più vicini alla Grecia.