Tirare dritto, badare al sodo

15 Novembre 2011

Le notizie secondo le quali il governo Monti equivarrebbe a una sospensione della politica democratica sono grandemente esagerate, come disse quel tale di cui era stata annunciata la morte mentre era vivo e vegeto. Sarà infatti la politica democratica, liberamente, a dargli o non dargli la vita nel solo modo che essa conosce: con il voto del Parlamento.

Le notizie secondo le quali il governo Monti equivarrebbe a una sospensione della politica democratica sono grandemente esagerate, come disse quel tale di cui era stata annunciata la morte mentre era vivo e vegeto. Sarà infatti la politica democratica, liberamente, a dargli o non dargli la vita nel solo modo che essa conosce: con il voto del Parlamento. Altrettanto esagerata, anche se più vicina al vero, è l’affermazione che il governo nasce per volere dei mercati. I quali, se così si può dire, hanno certamente votato la sfiducia a Berlusconi, anche se gli hanno dato tre mesi di tempo per salvarsi e quel tempo non è stato sfruttato. Però non votano loro la fiducia a Monti. Anzi, la giornata di ieri dimostra che la strada sarà lunga, la fatica sarà tanta, e che nemmeno Mario Monti è come il confetto Falqui di una celebre pubblicità, quel medicinale al quale per fare il suo effetto bastava che se ne pronunciasse il nome.

Più che della politica e dei mercati, il governo Monti, se e quando nascerà, sarà invece l’effetto di un vasto moto di opinione pubblica. Composto, per la prima volta insieme dopo tanti anni, da chi non ha mai votato Berlusconi e da tanti che l’hanno sempre votato ma ora chiedono a qualcun altro di tirarci fuori dai guai, perché il loro beniamino se n’è dimostrato incapace. Questo consenso non partisan, registrato dai sondaggi e non certo attribuibile né alla popolarità di Monti né al suo appeal mediatico, è un fatto nuovo e altamente positivo, anche se condizionato e a tempo. È una prova di maturità del Paese che offre una provvidenziale finestra di opportunità per fare le cose difficili e impopolari che vanno fatte. Il premier incaricato, nel comporre il suo dicastero, deve esserne consapevole e deve farsene forza. Oggi quella opinione pubblica gli chiede di non accettare veti dai partiti, e di fare così in fretta da non autorizzare neanche il sospetto che li stia accettando.

Qualsiasi governo in democrazia deve ricercare il sostegno popolare. Perfino un governo non generato dal lieto evento delle elezioni, bensì dall’infausto caso di un’emergenza nazionale. Ma è da dimostrare che oggi quel consenso sia rappresentato dagli stati maggiori di partiti esausti come la Lega, che si sottrae perfino ai doveri istituzionali e diserta l’incontro con il presidente incaricato pur di non rinunciare alla sua propaganda.

Monti può trovare lo strumento che gli serve nella Costituzione, in quell’articolo 92 che non è caduto in prescrizione solo perché nessuno lo usa mai. Si scelga i suoi ministri senza contrattarne i nomi. Chi non li gradirà potrà respingerli assumendosene la responsabilità in Parlamento. Il futuro premier deve permettersi, almeno adesso, di non comportarsi da politico pur senza diventare impolitico. Due esempi di veti incrociati cui ha tutte le ragioni di resistere: il Pdl non ha un diritto naturale a scegliere il ministro di Giustizia; e il Pd non ha il diritto di definire la eventuale nomina di un suo senatore, Pietro Ichino, come una «provocazione».

L’altro parametro con cui non i partiti né i mercati, ma gli elettori giudicheranno il governo, sta in quanto sarà diverso dai precedenti, e quanto invece assomiglierà all’Italia reale, quella che studia, lavora, produce. Questa Italia è fatta anche di donne e di giovani, non solo di maschi sopra i sessantacinque con una cattedra universitaria. Per un premier che ha come programma quello di battersi contro i «privilegi», il primo segnale da dare è di essere consapevole del privilegio dell’età e del sesso che vige in questo Paese. E ieri ha annunciato che ne terrà conto aprendo le consultazioni anche a giovani e donne. Da tifosi del suo tentativo, ci auguriamo dunque che il professor Monti sarà capace di stupirci nella scelta dei ministri. Per quanto questa sia probabilmente la prima volta nella sua vita in cui si debba preoccupare anche del consenso popolare, è necessario farlo. La durata e il successo del suo tentativo dipenderanno innanzitutto da quanto gli italiani sentiranno il suo governo come il loro governo. Oggi, dopo tanti nani e ballerine, sono pronti ad accettarne uno serio e sobrio. Ma, proprio perché quel governo dovrà chiedere loro tanti sacrifici, è meglio che non sia anche grigio e novecentesco, o che appaia lontano e remoto dal volto della nazione che si propone di guidare fuori dal baratro.

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