Ormai è chiaro: fino a metà gennaio, data del pronunciamento della Consulta sul legittimo impedimento, non succederà nulla. Assisteremo a scambi di insulti di vario genere, ma niente che faccia intravedere qualche concreto sviluppo, in un senso o in un altro, dello scenario politico. Conviene allora, dopo aver sottolineato che per l’ennesima volta l’intero paese è prigioniero delle vicissitudini giudiziarie del premier, analizzare le forze in campo per delineare il perimetro del gioco.
Cominciamo da Berlusconi: si è capito che non vuole le elezioni, anche se a giorni alterni le minaccia. Non le vuole perché con questa legge elettorale rischierebbe di perdere il Senato e a quel punto la via di Palazzo Chigi gli sarebbe preclusa: il Quirinale sarebbe obbligato a formare quel governo “di responsabilità” che oggi non è stato possibile realizzare, e il Cavaliere uscirebbe di scena per finire nelle grinfie di tutti i pm d’Italia.
Dunque deve andare avanti. Ma come? La sua risposta è nota: acquistando parlamentari sciolti che gli diano un margine di sicurezza numerica. In materia la sua abilità è indubbia e dimostrata. Il problema è che tutto questo a Bossi non piace. Il capo del Carroccio non perde occasione per dargli sulla voce. Invoca le elezioni quando Berlusconi le nega, ritira il veto su Casini e poi, proprio quando il premier ricomincia a corteggiare l’Udc, lo rimette. C’è da scommettere che non gradirà neppure l’ultima idea: quella di rifondare una nuova Forza Italia, comunque si chiamerà, formando contemporaneamente un terzo gruppo (i responsabili?) che sostenga il governo. Una maggioranza fondata su tre gambe, due delle quali diretta emanazione del Cavaliere, ridurrebbe il potere della Lega, e si capisce che Bossi non gradisca. Perciò il Senatur cercherà di scongiurare il rischio. Fino a che punto si spingerà? Non si sa, ma lo storia recente insegna che può fare di tutto, compreso togliere la fiducia al governo e magari cambiare la legge elettorale per garantire alla Lega un ruolo anche nel futuro post berlusconiano.
La posizione del premier, dunque, non è affatto facile, nonostante la fiducia appena strappata. Per uscirne Berlusconi dovrebbe scendere a patti con Casini, ma anche questa è una strada impervia. Il leader dell’Udc ha molti problemi: non può fidarsi troppo dei suoi parlamentari, molti dei quali sono assai sensibili alla doppia pressione del Cavaliere e delle gerarchie vaticane. Ma non ha nessun interesse a tornare all’ovile con la coda tra le gambe: si è costruito in questi anni una reputazione di coerenza ed equidistanza che sono i fondamenti ideali di una leadership centrista. Pagherebbe un prezzo altissimo se vi rinunciasse. Per convincerlo Berlusconi dovrebbe offrire un prezzo altrettanto alto, in termini di peso nel governo e di ascolto delle proposte targate Udc. Ma allora Bossi non accetterebbe e lo stesso Berlusconi perderebbe ogni interesse all’operazione.
Fini lo sa, e per questo si aggrappa a Casini. E’ in questo senso che vanno lette le sue ultime uscite. Dicendo che il governo può durare e che Fli deve comportarsi con saggezza nei suoi confronti non fa altro che sposare la posizione di Casini: così rende difficile all’Udc spezzare il neonato terzo polo e, allo stesso tempo, rassicura un elettorato che temeva un suo sbilanciamento a sinistra e svuota di senso il voltafaccia dei fuoriusciti da Fli.
Naturalmente, per poter resistere, sia Casini che Fini hanno bisogno di una qualche forma di interlocuzione con la sinistra. Ma qui i guai si fanno seri, perché Pd, Idv e Sel sembrano aver smarrito, se mai lo hanno avuto, ogni senso della prospettiva. Si accapigliano, se uno dice una cosa c’è subito un altro che lo attacca: una eterna baruffa sempre più staccata dalla realtà. Non c’è da meravigliarsi se gli elettori non capiscono o, peggio, finiscono per appassionarsi ai personalismi imperanti senza accorgersi di segare il ramo su cui sono seduti.
In realtà ci sono alcuni dati su cui si potrebbe ragionare con qualche freddezza. Il tramonto del berlusconismo è un fatto, e quel che ne discende è la necessità di costruire il dopo Berlusconi. Bisogna riformare la legge elettorale e decidere se vale la pena di salvare il bipolarismo o se tornare ad un proporzionalismo temperato dalle esigenze della governabilità. Bisogna anche sapere che sarà necessaria una fase di passaggio, e che qualunque leadership governi questa fase finirà inevitabilmente quando il passaggio sarà compiuto. Ci vogliono dunque meno anatemi e più idee. Oltre alla consapevolezza della gravità del momento. Non resta che augurarsi che il Natale porti consiglio.