Manzella: “Bagarre istituzionale”

30 Lug 2010

È la prima volta nelle democrazie occidentali che un capo del governo chiede le dimissioni del presidente della Camera. Ma gli esempi di Pertini e Saragat, citati come precedenti, non funzionano. Andrea Manzella spiega il perché.

“Il Presidente della Camera è eletto per l’intera legislatura. Una volta accettato l’incarico è indifferente alla maggioranza che lo ha eletto. Una volta insediatosi, cioè, si rompe il cordone ombelicale con il corpo elettorale. Non vi è dunque nessun obbligo da parte del presidente della Camera di rispondere di eventuali fratture politiche. Questo è il principio base di quell’alto incarico”. Andrea Manzella, costituzionalista, scioglie il nodo di quest’ultimo scontro istituzionale. “È la prima volta nei sistemi democratici occidentali che un capo di governo chiede pubblicamente le dimissioni del Presidente della Camera – spiega ancora Manzella – È anche la prima volta che la seconda carica dello Stato, cioè il presidente del Senato Renato Schifani si unisce alla richiesta e che per giunta, il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi rincari la dose prestando il fianco alla polemica: siamo alla bagarre istituzionale”. Lo scontro istituzionale è usato come estensione della crisi tutta interna al Pdl. Maurizio Lupi, ai microfoni di Radio Anch’io, propone gli esempi di Pertini e quello di Saragat a sostegno delle dimissioni. Ma i precedenti non sono accostabili al caso di Gianfranco Fini. È sempre l’ex senatore Ds manzella a spiegare perché: “Sandro Pertini si dimise due volte da presidente della Camera. La prima nel ’69 dopo il fallimento del Psu, partito nel quale era stato eletto, la seconda nel 1975 dopo una polemica di Ugo La Malfa contro gli sprechi dell’amministrazione della Camera: ma in entrambe i casi i deputati respinsero all’unanimità le dimissioni. E in entrambe i casi le dimissioni furono comunque il risultato della sensibilità del presidente. Il fatto stesso che la Camera per due volte abbia dichiarato inammissibile il gesto è semmai un precedente a favore di Fini e cioè a favore del fatto che deve rimanere al suo posto”.
Quanto al caso Sargat, lì “c’era un patto ben chiaro”. Giuseppe Saragat si dimise da presidente dell’Assemblea costituente quando a gennaio del 1947 nacque il Psdi, il Partito socialista dei lavoratori italiani (successivamente Partito Socialista democratico italiano). Il patto, dice Manzella “era che il governo dell’assemblea costituente doveva essere guidato dalla forza politica che non stava al governo del paese, proprio perché si doveva trovare l’accordo sui principi, si doveva scrivere la Costituzione. Toccò dunque a un socialcomunista quale Saragat era, perché al governo c’erano i democristiani. Ha rassegnato le dimissioni da Presidente dell’Assemblea Costituente perché ha assunto la Segreteria politica del nuovo Partito e al suo posto subentrò Umberto Terracini”.
Non esistono altri precedenti. I casi di Giovanni Gronchi, ancora una volta di Pertini, di Oscar Luigi Scalfaro, eletti al Quirinale dal seggio più alto di Montecitorio rientrano in un discorso diverso. Così come quello di Giovanni Leone, che lasciò la presidenza della Camera per guidare il governo.

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