Si voglia parlare di crisi o di quasi crisi, una cosa ormai è certa: per Berlusconi scorrono i titoli di coda, il governo nato dal risultato elettorale del 2008 è finito. Tuttavia, il gioco al rilancio tra Fini e il premier non si è ancora concluso. La formalizzazione della rottura può avvenire a breve oppure richiedere ancora qualche tempo. C’è da augurarsi, in ogni caso, che la vicenda venga nei modi dovuti “parlamentarizzata”, che alle molte anomalie di cui soffre la nostra vita politica non si aggiunga quella di una crisi extraparlamentare. Oltre tutto in chiara contraddizione col ruolo di terza carica della Repubblica ricoperto dal leader di Futuro e Libertà.
Le prime mosse sembrano chiare, il dopo è difficilmente prevedibile. Come era scontato, Berlusconi ha seccamente respinto l’intimazione di Fini: “Non me ne vado, mi voti contro”. Tocca ora a Futuro e Libertà compiere il secondo passo: il ritiro della delegazione dal governo. A questo punto, a Berlusconi spetta andare al Quirinale per “riferire” al capo dello Stato. Può gettare la spugna. O procedere a un rimpasto, sostituendo il ministro e i sottosegretari finiani dimissionari. Ma è chiaro che il governo “rimpastato” deve presentarsi in Parlamento e affrontare il voto di fiducia. Da questo momento il percorso si fa più nebuloso, e le vie d’uscita possono essere le più varie. I pasdaran del Cavaliere ritengono che l’esecutivo supererebbe la prova: al Senato la vecchia maggioranza reggerebbe, anche senza i finiani, e, una volta superato questo scoglio, si potrebbero trovare i voti necessari pure alla Camera, sfruttando la paura folle che prende i peones quando sentono parlare di elezioni anticipate. Ma si tratta di un piano assai fragile, che deve mettere in conto un governo soggetto allo stillicidio del voto contrario a ogni possibile occasione. C’è dunque chi, nel Pdl, formula una subordinata: sempre un governo con la vecchia maggioranza, ma con un’altra guida, in questo caso il ministro Tremonti, che potrebbe aprirsi anche all’Udc di Casini. Però, è assai difficile pensare a un Berlusconi che sia disposto a sacrificarsi e a passare la mano. Ecco perché i più ritengono che il premier batterebbe la strada delle elezioni anticipate. Pur temendole, confida ancora di poter risolvere la partita a proprio vantaggio, chiamando il paese a un altro referendum sulla sua persona
Tuttavia, questa soluzione prescinde da una condizione ineliminabile: le prerogative del capo dello Stato, nel solco della nostra Carta costituzionale, che non è la Costituzione “materiale” che Berlusconi si arrangia a proprio uso e consumo. E sottovaluta, al tempo stesso, la forza che possono mettere in campo tanto Futuro e Libertà quanto le opposizioni. Ai colpi di coda di un Cavaliere ferito e vendicativo si può opporre una mozione di sfiducia a più mani, che costituirebbe l’ossatura di un altro governo, con il compito di scrivere una legge elettorale finalmente decente e di condurre in porto le misure economico-finanziarie indifferibili. Lo sappiamo: si tratterebbe di un governo, tecnico o isituzionale che sia, sostenuto da una maggioranza eterogenea, e Fini andrebbe incontro all’accusa di “intelligenza con il nemico”. Ma sarebbe una soluzione provvisoria, che vedrebbe, dopo la riforma elettorale, i partiti dividersi a seconda delle diverse opzioni politiche, e su questa base affrontare la prova delle urne. Non un cartello elettorale, messo in piedi come che sia, da Futuro e Libertà a Vendola, pur di battere Berlusconi. Del resto, Fini, nel discorso di Perugia, ha fissato paletti precisi, precisando che la sua scommessa politica si gioca nel perimetro del centro-destra, che su questo terreno ha le sue ragioni e trova i suoi voti. Un centrodestra avverso al berlusconismo, che vuole offrire al moderatismo italiano un’alternativa politica credibile.
Certo, l’esito di quest’operazione al momento è assai incerto. Una maggioranza per una nuova legge elettorale non è ancora matura. Non c’è ancora un progetto capace di offrire una solida alternativa al capo dello Stato quando sarà chiamato a decidere se sciogliere le Camere o dare il via libero a un altro governo. È urgente porre fine ai piccoli giochi d’interdizione, ai piccoli calcoli sulle convenienze partitiche. L’opposizione, a cominciare dal Pd, che ne è la forza determinante, deve fare sino in fondo il proprio dovere. La crisi di Berlusconi e del berlusconismo le impone, a questo punto, di proporsi come alternativa credibile.