La fine dell’universalismo: la balcanizzazione del mondo passa da Gaza

15 Luglio 2025

Sergio Labate

Articolo pubblicato su Domani
Sergio Labate , 13 Lug 2025

Titolo originale La fine dell’universalismo: la balcanizzazione del mondo passa da Gaza

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

Dalla “safe area” di Srebrenica alla “città umanitaria” di Gaza sono trascorsi trent’anni. Eppure siamo ancora qui, nonostante l’evidenza della storia, a dover fare i conti con la miscela di odio identitario e violenza primitiva che si chiama nazionalismo. A Srebrenica abbiamo seppellito senza troppi rimpianti l’universalismo dei diritti e le sue istituzioni. Ma adesso, cosa può salvarci dai nazionalismi che nascono dovunque se non una nuova campagna a difesa dell’universalismo?

È immaginabile pensare che un numero così alto di cittadini di uno Stato europeo possano ancora flirtare con il nazismo? Ovviamente Thompson si difende e sostiene che il suo orgoglio è rivolto non alla storia della Seconda guerra mondiale, ma a quella dell’indipendenza degli anni Novanta. È probabile che abbia ragione, ma la giustificazione non lo assolve, anzi peggiora le cose. Per buona parte dei croati presenti al concerto non c’è dubbio che sia così: il combustibile non è il nazismo, ma il nazionalismo.

Una piccola inquietante lezione che ci dice di ciò dentro cui siamo precipitati: non è il nazismo storico che ritorna, ma quella miscela di odio identitario e violenza primitiva che si chiama nazionalismo. La Croazia è in buona compagnia. Le ferite degli anni Novanta non sono mai state davvero risarcite e i Balcani scivolano sempre più evidentemente verso un’ostilità nazionalistica che si nutre del bisogno di vendetta. Del resto, il nazionalismo è diffuso ormai dovunque e ripete con precisione ciò che è già accaduto trent’anni fa nei Balcani. Col senno di poi, non abbiamo mondializzato i Balcani, ma balcanizzato il mondo. Demolendo i due pilastri della saggezza dolente del dopoguerra: la democrazia come garanzia della pluralità e il diritto internazionale come antidoto al nazionalismo.

La safe area

Anche la necessaria pagina di questo giornale dedicata all’anniversario di Srebrenica si occupa di questi temi, ricordando la sconcertante attualità di quel genocidio. Lo ricordano anche Roberta Biagiarelli e Paolo Rumiz in un podcast di molto successo dal titolo Srebrenica. Il genocidio dimenticato.

Si racconta a un certo punto che Srebrenica era denominata dall’ONU “safe area”. Un’area in cui le persone venivano “portate dentro e poi fatte fuori”. È impossibile anche solo immaginare quel che è accaduto a Srebrenica senza sentire il proprio cuore smarrirsi, se resta ancora qualcosa d’umano in noi. C’è qualcosa di più spietato della guerra? Credo di sì: usare la scusa della salvezza dalla guerra per attrarre uomini donne e bambini in una trappola per topi. Indifesi, avrei dovuto aggiungere. Ma non erano indifesi. Stavano lì precisamente per questo: perché erano difesi da coloro che non li hanno difesi.

“Safe area” era Srebrenica. La “città umanitaria” dovrà essere invece quel che rimarrà di Gaza secondo il ministro della difesa israeliano. Un luogo dove costringere le persone ad andare per sfuggire dalla fame e dalla guerra che li riguarda adesso. Spinti verso la loro trappola per topi con noi spettatori inermi e complici. Un luogo dove le persone verranno «portate dentro e poi fatte fuori», se solo proveranno a mettere in discussione un progetto che è sempre più sconcertantemente nazionalista.

Eppure c’è una differenza fondamentale tra la safe area di Srebrenica e la città umanitaria di Gaza. Lo ricorda tragicamente Gigi Riva: l’Onu è morta a Sarajevo ed «è stata sepolta a Srebrenica». Quella sepoltura non è stata pianta come avremmo dovuto. Perché sepolto l’ordine internazionale garantito dall’ONU, non rimane più nulla se non questo trasformare la pace in forza da parte dei nazionalisti schierati da ogni parte, nei Balcani, in Medio Oriente, ma anche nel cuore dell’Europa e nel fondo oscuro di ciò che resta della democrazia americana.

Il diritto internazionale

Mi domando se non sia proprio questa la mancanza fondamentale della nostra epoca, il granello di sabbia che ha fatto saltare tutti gli ingranaggi del Novecento. La fine dell’universalismo. La rassegnata accettazione della sepoltura dell’Onu, del diritto internazionale. Anche la sinistra è stata complice di questa frettolosa sepoltura, in fondo quell’universalismo era eredità troppo occidentale e per molti tra noi è stato comodo vederlo seppellire nelle fosse comuni degli innocenti. Non era difficile prevedere che dopo Srebrenica sarebbe arrivata anche la “città umanitaria”.

Che seppellito l’universalismo non poteva esserci che il ritorno sanguinario dei nazionalismi. A Srebrenica l’Onu è stata sepolta. E adesso che non c’è più, nessuno può fermare la violenza indiscriminata dei nazionalismi. Se non dei nazionalismi ancora più forti, ancora più violenti.

Sogno una sinistra che rivendichi l’universalismo del diritto internazionale contro il nazionalismo con la stessa forza con cui rivendica il proprio europeismo nonostante le politiche nazionalistiche dell’attuale Europa. È solo un sogno, lo so. Le cose seppellite non tornano in vita. Ma preferisco coltivare il sogno dell’universalismo che cedere al cinismo dei nazionalismi che si fanno la guerra tra loro.

Sergio Labate è professore di Filosofia teoretica presso l’Università di Macerata.
È stato presidente di Libertà e Giustizia. Tra le sue pubblicazioni: “La regola della speranza. Dialettiche dello sperare” (Cittadella 2012), “Passioni e politica” (scritto insieme a Paul Ginsborg, Einaudi 2016), “La virtù democratica. Un rimedio al populismo” (Salerno editrice 2019).

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