Ricorre in questa primavera 2025 l’ottantesimo anniversario della Liberazione, che è – lo ha ricordato il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno – «fondamento della Repubblica e presupposto della Costituzione». Una Repubblica fondata sul lavoro – tema dei quattro quesiti referendari promossi dalla Cgil su licenziamenti, sicurezza sul lavoro, precariato, Jobs Act – e sui diritti, tema del quinto quesito sulla cittadinanza. Quale modo migliore per risignificare la Liberazione? Eppure la campagna referendaria rischia di svolgersi in un clima arreso, indifferente; di diventare un compito che, nella tempesta delle grandi questioni che agitano il mondo e ci interpellano, assume uno spazio minore anche nelle nostre menti; un compito isolato in modo quasi irrealistico dalla guerra che si mostra come realtà e come ideologia con le sue sconcertanti trovate mediatiche, con l’affermazione di un’economia che pretende il riarmo in Borsa e nei linguaggi, con la perdita del tabù nucleare. Siamo sconcertati dal bullismo aggressivo che si è insediato alla Casa Bianca e dalla fascinazione che esercita su chi, in Italia e nel mondo, sente il diritto internazionale e le sue istituzioni come una camicia di forza di cui liberarsi.
Tuttavia, proprio in questo scenario di brutalità in cui ogni giorno è necessario districare realtà e inondazione retorica, la campagna referendaria può assumere un significato capace di accompagnare e potenziare la pur grande rilevanza dei quesiti proposti. Gli ottant’anni che ci separano dalla fine della Seconda guerra mondiale portano, ha detto il presidente Mattarella, «il richiamo alla liberazione da tutto ciò che ostacola libertà, democrazia, dignità di ciascuno, lavoro, giustizia». È questo lo spirito, l’ossatura della campagna referendaria, che ha la forza di assumersi un ulteriore compito, o per così dire un meta-compito, diventando – anche – una campagna sulla Repubblica, che non è patria identitaria ma patto di cittadinanza nato dalla sconfitta del fascismo e del suo insegnamento di sottomissione; recando in sé lo spirito di quell’art. 3 della Costituzione che è la più grande lezione civile e il più grande programma politico, ancora da attuare: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Se questo sarà il sottotesto, il portato resistenziale della nostra campagna referendaria – non arresa, non distratta dalle questioni che ci sovrastano mentre chi progetta riforme autoritarie va dritto per la sua strada – la grande battaglia di civiltà inaugurata con la raccolta di un milione trecentomila firme sarà l’apertura di un varco affinché i referendum possano diventare una costruzione, una disseminazione di consapevolezza, conoscenza, impegno su quanto si gioca qui e ora – l’involuzione repressiva che passa per atti politici, legislativi e amministrativi – ma anche una reazione alla nostra spossatezza e distrazione, per quanto comprensibile e legittima, nel silenzio dei media, nell’uniformità di uno spettacolo in cui tutto viene macinato e reso inoffensivo.
Ne è un esempio l’oscuramento da parte del servizio pubblico delle storiche immagini dello scorso 27 febbraio, quando magistrati e magistrate sono usciti dai palazzi di Giustizia di tutt’Italia mostrando la Costituzione per opporsi a quella che viene ormai chiamata la “separazione della magistratura” anziché delle carriere.
In Rinoceronte, la favola teatrale di Ionesco sull’ascesa del fascismo, i cittadini di una quieta provincia cominciano poco per volta a trasformarsi in rinoceronti. All’inizio le persone se ne tengono a distanza, inorridite e spaventate, poi iniziano a discutere se abbiano uno o due corni, se siano asiatici o africani, infine cominciano ad ammirarne la brutalità e la forza, finché essi stessi si trasformano in rinoceronti, diventando schiacciante maggioranza. Così nasce il fascismo, nelle sue diverse declinazioni; non come ripetizione dell’identico ma come variazione del mito del capo, della trasformazione in popolo, della cecità indifferente di fronte alla sopraffazione e alla limitazione degli spazi di libertà.
In questa primavera 2025, in questo ottantesimo della Resistenza, i comitati referendari potranno essere un punto di incontro, di informazione, di consapevolezza sull’involuzione autoritaria in atto nel nostro Paese, dove il Disegno di legge 1660 detto “Sicurezza” – un coacervo di misure che prefigurano la dilatazione dei poteri degli apparati e la limitazione dei diritti di cittadinanza, espressione e manifestazione – prosegue il suo iter parlamentare in un clima profondamente mutato in Italia e nel mondo.
Con la partecipazione, con l’impegno a portare i nostri concittadini al voto, ci è affidata la responsabilità di difendere la nostra democrazia, la libertà che è condizione necessaria al pensiero, alla partecipazione, alla politica come bene comune.