L’Ucraina, la guerra e l’identità russa

26 Febbraio 2022

Fabrizio Tonello

Per capire quello che sta succedendo in queste ore bisogna partire da lontano, da molto lontano: l’identità russa nei secoli nasce attorno a Kiev, non a Mosca o a Pietroburgo. Le popolazioni ‘Rus’ si aggregano verso l’anno 1000 nei territori che sono oggi Ucraina orientale, in opposizione fin da allora a un regime polacco-lituano che comprendeva Leopoli (Lviv) conquistata nel 1349 da Casimiro il Grande, re di Polonia. Come ha detto nei giorni scorsi Alessandro Barbero, “non c’è mai stato alcun dubbio che l’identità russa, il popolo russo, la cultura russa nascono nella Rus di Kiev”.

Più tardi, questi protorussi convertiti al cristianesimo ortodosso si espandono verso nord e il centro di gravità si sposta verso Mosca mentre l’Ucraina diventata poco a poco la periferia dell’impero russo consolidato da Ivan il Terribile che per primo prende il titolo di Zar. Mosca e Kiev resteranno però inseparabili, dal punto di vista religioso, politico ed economico: l’Ucraina è sempre stata il granaio della Russia (e oggi lo è anche dell’Europa: ieri i produttori di pasta italiani si sono lamentati per il blocco delle forniture causato dall’invasione).

Diverso il caso di Leopoli, per secoli parte dell’impero austriaco e quindi cattolica: i confini attuali dell’Ucraina sono stati disegnati alla fine della Seconda guerra mondiale, con la sconfitta del nazismo e l’espansione verso Ovest dell’Unione Sovietica, un’espansione che faceva parte dell’ossessione per la sicurezza di tutti i regimi politici di Mosca, dagli zar a Stalin e da Krusciov a Putin. Per sua sfortuna l’Ucraina è grande: va da Luhansk nel Donbass a Leopoli, presso il confine polacco, 1.200 chilometri più in là. La conseguenza inevitabile è che Leopoli gravita verso la cattolica Polonia e l’Europa occidentale, mentre Luhansk è ortodossa, parla russo e guarda a Mosca. Sono le radici di un nazionalismo ucraino e di un nazionalismo russo che si sono combattuti, sotterraneamente ma spesso in modo sanguinoso e crudele, per tutto il XX secolo.

Per esempio, negli anni Trenta, ci fu in Ucraina una terribile carestia, con milioni di morti, che è entrata nella memoria come un genocidio deliberatamente attuato da Stalin. Negli stessi anni Stepan Bandera, un nazionalista Ucraino nato nel 1909, organizzò l’assassinio del ministro degli interni polacco nel 1934 e, nel 1941, si mise al servizio dei nazisti quando Hitler invase l’Unione Sovietica. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, movimenti separatisti di guerriglia rimasero attivi in Ucraina orientale per anni.

Se facciamo un salto nel futuro, al momento della dissoluzione dell’URSS nel 1991, occorre ricordare che l’amministrazione Bush e il cancelliere tedesco Kohl erano preoccupatissimi della possibilità di una superpotenza dotata di armi nucleari frammentata in 11 stati indipendenti in preda al caos politico e spesso ostili fra loro (Armenia e Azerbaigian non tarderanno a farsi la guerra per esempio). Quindi Stati Uniti e Germania operarono diplomaticamente per consolidare la potenza militare sovietica nella Russia, per avere un solo interlocutore (che in quel momento era presieduta dal filooccidentale Boris Eltsin) e promisero di non espandere verso Est la NATO, l’organizzazione militare creata nel 1949 per contrapporsi all’URSS.

Logica avrebbe voluto che la NATO, nata in funzione difensive contro uno stato che non esisteva più, si sciogliesse a sua volta, ma questo non accadde e, al contrario, fece rapidamente aderire le tre repubbliche baltiche Estonia, Lettonia e Lituania, oltre alla Polonia. Nonostante gli ammonimenti del diplomatico e storico George Kennan, gli Stati Uniti cercarono di far entrare nella NATO anche la Georgia e l’Ucraina, due stati di confine che la Russia non poteva accettare come avamposti di potenze straniere. La situazione rimase fluida finché queste due repubbliche conservarono governi più o meno amici di Mosca, era destinata a precipitare quando a Kiev e a Tbilisi arrivarono regimi antirussi, magari sull’onda di una rivoluzione popolare, come accadde nel 2014 in Ucraina.

Da allora, a Kiev si sono succeduti vari governi di breve durata, in genere legati agli oligarchi che si erano spartiti le ricchezze dell’URSS al momento del suo scioglimento, mentre a Mosca si consolidava il regime autoritario di Vladimir Putin. Forse una soluzione diplomatica si sarebbe potuta trovare sulla base di una neutralizzazione dell’Ucraina, come aveva proposto recentemente l’ex ambasciatore italiano a Mosca Sergio Romano, ma nessuno si fidava di nessuno e la parola è passata alle armi. Ora rimangono solo il sibilo dei missili e le sofferenze delle popolazioni.

ilbolive.it Università di Padova, 26 febbraio 2022

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